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Argentina: Carlos Tevez e i fantasmi del West

Rapine, droga, vendetta e calcio: questa la realtà maledetta del Fuerte Apache, il quartiere di palazzoni in cui è cresciuto il campione del City e dove i suoi amici di infanzia oggi sgomitano tra crimine e povertà: «Questo posto ce l’ho nel sangue», ha detto l’argentino

Piombo e Polvere: Calcio al Fuerte Apache (foto: Filippo Fiorini / PangeaNews)
 Buenos Aires – In un’intervista alla rivista delle baraccopoli argentine, La Garganta Poderosa, Carlos Tevez disse: «Se non fosse stato per il calcio, avrei fatto la fine dei ragazzi del mio quartiere. Sarei morto, in gattabuia, o buttato per strada drogato». A pochi metri da quel pezzo di terra polverosa dove Carlitos bambino prendeva a calci le pietre, nel centro del quartiere Fuerte Apache, si ritrovavano i 24 amici della banda più feroce del barrio. Si facevano chiamare Backstreet Boys, praticavano coreografia di cumbia (il gangsta rap argentino) sulle terrazze, portavano catene fino all’ombelico e anelli con la scritta BSB. Erano i padroni del Nodo 1 in quell’aborto urbanistico fatto di cemento, spazzatura, inferriate e povertà, in cui le vite dei campioni si incrociano con quelle dei banditi e a volte si scambiano i destini.

Oggi, questi ragazzi sono per metà morti. Ammazzati, suicidi, perdenti alla roulette russa o lenti negli inseguimenti con la polizia e le bande rivali. Sei di loro sono in carcere. L’ultimo dei Backstreet Boys a lasciarci le penne, a inizio dicembre, è stato Germán Cancinos, 30 anni, soprannominato He-Man, come il celebre giocattolo della Mattel. Lì, al Nodo 1, viveva anche Cabañas, il migliore amico di Carlitos Tevez. Un altro che non ebbe la sua fortuna. «Sono molti quelli che raccontano che lui era anche migliore di Tevez», scrive Nahuel Gallotta, compilatore oscuro delle storie dei ragazzi che giocarono con ‘El Apache’.

«Era proprio bello quando giocava. Aveva una tecnica sopraffina. A metà di una partita usciva dal campo, andava a bere un the di mate o una galletta di riso e poi tornava. Quando festeggiava un gol, si andava a nascondere dietro agli striscioni, cosi all’arbitro toccava andare a cercarlo per riprendere il gioco. Quando invece l’allenatore gli dava indicazioni, lui rispondeva a insulti». Cabañas, “genio e sregolatezza”, non ebbe la fortuna del suo celebre amico. Non incontrò il mecenate, Norberto Propato, colui che andava a caccia di giovani talenti fra le strade di terra battuta delle villas miseria. Se lo incontrò, non fu altrettanto favorito dalla sorte.

Articolo pubblicato per l’agenzia stampa di Buenos Aires, PangeaNews. Continua a leggere qui. 

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