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Una casalinga vs l’idraulico madido di sudore e bestemmie

Ho un problema.

Ogni qual volta lavo i piatti, la tubatura sotto il lavello della cucina gocciola. Lo so, un po’ di scotch, tenaglie e pazienza e potrei stringerla, interrompendo il gocciolio molesto una volta per tutte.

Ma ho optato per la soluzione  comoda e borghese, quella dell’idraulico, ed ormai sono in guerra con questa nazione. Ed è una guerra che intendo vincere.

Sono ormai quattro settimane che lo aspetto, l’idraulico, come Robinson Crusoe sull’isola deserta, maledetto Godot. Casa mia deve essere stata costruita su un cimitero indiano, o deve trovarsi in una sorta di limbo spazio-temporale, se ottenere che venga qualcuno a guardarti il lavandino della cucina è impresa tanto ardua.

super mario cap

Due settimane di petting via email con l’agenzia che ci affitta la casa. All’inizio erano solo fiordalisi, e tante leccate cordiali, del tipo “ringrazio anticipatamente per la vostra squisita gentilezza“.

Poi siamo passati ad un più frustrato e contenuto “con la certezza di ricevere presto una vostra risposta…“. Infine, la minaccia di contattare un superiore, la-vostra-mancanza-di-professionalità kind of thing, e riesco a strappare all’agenzia il numero di telefono di British Gas.

British Gas è una sorta di multinazionale domestica della riparazione, occupandosi di tutto, dalle lampadine alla fuga di gas, fino all’innocua perdita sotto il lavandino.

Chiamo, pertanto. Mi risponde un operatore e fissiamo un appuntamento per mercoledì mattina. L’idraulico può venire solo dalle 8 alle 6 del pomeriggio, che guarda caso corrisponde proprio alla fascia oraria lavorativa, quella in cui le persone normale sono fuori di casa, non ci sono, non possono aprire a nessun idraulico.

Ma tant’è, mi dico. Mi prendo una mattinata e lavoro da casa, in pigiama, sprofondato sul divano con gli occhi ancora cisposi di sonno.  Sarà divertente.

Aspetto. 

E’ mercoledì mattina, ore dieci, sono sveglio da due ore e l’idraulico deve ancora arrivare. Una chiamata al cellulare. Due. Richiamo ma nessuno risponde.

Sono le undici. Le dodici.

L’una, e sticazzi, ‘mo devo andare al lavoro.

Chiamo British Gas, indiavolato e frustrato come la più inviperita delle casalinghe disperate che ha appena scoperto che suo marito ha un affair con la maestra di matematica.

Mi dicono che l’idraulico è effettivamente venuto, mi ha chiamato al cellulare, non ho risposto e se ne è andato. Io, incredulo, rispondo che ho provato a richiamare, ma l’idraulico non mi ha filato.

Poi, l’illuminazione.

Il citofono. 

Chiedo se l’idraulico ha suonato il citofono. “He must have forgotten,” mi sento rispondere. Deve essersene dimenticato. Ora, io mi immagino questo povero cristo che lascia il talamo ancora caldo e fragrante della moglie, affronta il traffico londinese delle sette del mattino; si rovescia addosso un caffè take-away cercando di seguire il navigatore per trovare casa mia; finalmente arriva, madido di sudore e bestemmie…. e… e si dimentica di suonare il citofono.

Nessun problema, dico, può capitare. A tutti. Chiedo che almeno la prossima volta Super Mario possa comparire di mattina presto, il più presto possibile.

Dopo aver preso appuntamento per la settimana dopo, mi sento chiedere dalla centralinista “How would you rate our service today?“. Mi contengo, e rispondo “shitty.” Lei, felice, mi ringrazia e appende.

Una settimana passa veloce, mi ripeto. Ogni qual volta lavo i piatti, sento il gocciolio della tubatura che mi perfora l’ulcera. Posso distinguere il suono penetrante e acido della piccola goccia che scava il tessuto. Imperterrita, metodica.

Arriva lunedì, oggi, ma sono le 8,30 e devo scappare di casa e avviarmi al lavoro. Pare oggi ci sia il grande capo in giro, meglio essere puntuali.

Mentre sono nella galleria più rumorosa della città mi chiama finalmente l’idraulico. E’ lì davanti casa, e i miei due coinquilini sono in casa.

E’ fatta, mi dico. Gli ricordo di suonare il citofono, e sorridente continuo a pedalare verso il sole. Ho chiamato il mio coinquilino, e l’ho avvertito che l’idraulico era lì fuori, impaziente di entrare e fare il suo dovere.

E’ fatta. Per forza.

Non è così. Mezz’ora dopo, la tragedia. 

Mi richiama l’idraulico. Non riesce a trovare parcheggio (e dice che non può lasciare la macchina con le 4 frecce in una stradina residenziale sconosciuta ai vigili. Stolto. Avesse vissuto un giorno, un giorno solo a Roma).

Cazzo.

Mi richiama a scoppio anche il centralinista di British Gas, ancora più allarmato. Dico a entrambi che non posso fare nulla, sono al lavoro, una macchina non ce l’ho e tanto meno un pass per il parcheggio, pertanto l’idraulico dovrà arrangiarsi da solo.

Silenzio.

Richiamo l’idraulico. Silenzio, di nuovo.

Non ce l’ha fatta. Temo non ce l’abbia fatta.

Il mio coinquilino mi scrive che ormai è andato al lavoro. Quell’altro pure.

Sono in ufficio, che guardo l’intonaco, ancora attonito, e penso che questi avevano un impero coloniale. Sono riusciti a conquistare un dannatissimo impero coloniale.

Continuo a fissare il bianco della parete, con sguardo vitreo. Non mollo.

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