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“… as good evening sounds too depressing”

E’ stato l’attore della mia infanzia.

Avrò rivisto Jumanji dieci volte – mai abbastanza – e Hook – Capitan Uncino un numero forse ancora maggiore. Mi commuovevo in silenzio, sempre, perchè da piccolo mi vergognavo di piangere di fronte ai miei genitori, e trattenevo le lacrime.

Bastava già mio padre con quegli occhi lucidi sistematici, prevedibili, anche nel vedere Die Hard – Trappola di Cristallo.  

Mi ricordo arrivare ormai adolescente a casa dei miei zii – quelli con i primi televisori giganti, dolby surround, schermo che tende al piatto  – e notare quella VHS (una “cassetta”) di Jumanji posata sul mobiletto della TV. Chiesi se potevo vederla anche se mi consideravo già grande, e avevo ovviamente smesso da un pezzo di rivedere i film di quando ero piccino. Adolescente com’ero, mi sedetti e passai un pomeriggio a guardare quel ‘film per bambini’ – uno dei miei preferiti – forse per l’ultima volta.

Sull’onda emozionale dei telegiornali, questa sera ho deciso di vedere uno dei suoi capolavori che mi ero fin qui perso, Good Morning Vietnam. 

L’ho rivisto in inglese, con accanto mio padre. Durante questa scena – per lui assolutamente incomprensibile – rideva di gusto, felice, con gli occhi un po’ gonfi ma senza darlo a vedere.

Rideva senza neanche sapere il contenuto di quei dialoghi. Non importava: sono bastati la sua mimica, il suo tono di voce, le sue imitazioni a braccio, la sua espressione.

Accanto a mio padre, sono tornato a commuovermi.
Tutto d’un tratto, in quel momento, sono tornato il bambino di un tempo – pure io con gli occhi lucidi, ma senza più nasconderli, finalmente.

Meme generator

Da questa foto pubblicata su Facebook con ironico citar di Kipling:

“Se saprai mantenere la testa quando tutti intorno a te la perdono […] Tua sara’ la Terra e tutto ciò che è in essa, e quel che più conta sarai un Uomo, figlio mio!

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Quel genio del mio ex coinquilino ha tirato fuori una serie di meme da contemplare senza trasporto, con assoluto distacco.

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Torino

1 Comment

«Torino non è una città simpatica, è anzi dura, aspra, esigente, è la città che dopo il tradimento di Villafranca fischiò gli alleati francesi che avevano vinto da soli a Magenta e lasciato tremila commilitoni sul campo di Solferino, che cent’anni dopo accolse nel gelo gli immigrati del Sud, ma è a suo modo generosa di sè: capitale d’angolo condannata a creare per il beneficio altrui, a costruire cose destinate ad andarsene. Per due volte in un secolo Torino ha fatto l’Italia, a San Martino e a Mirafiori, con i fanti e con gli operai, e per due volte l’Italia se n’è andata, la capitale a Firenze e poi a Roma, le fabbriche per una sorta di contrappasso al Sud.»

Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 24 maggio 2004.

 

Aggiornamento

E’ un sacco che non scrivo su questo blog. E’ addirittura la prima volta che uso l’interfaccia nuova di WordPress. Se avessi dei lettori, mi scuserei con loro.

Scrivo ora da Torino, città nella quale mi sono trasferito per un nuovo lavoro che mi lascerà probabilmente poco tempo per aggiornare con regolarità queste pagine.

Farò del mio meglio, scrivendo di ogni cosa interessante della mia vita online e offline – eccetto che di pallone .

Per esempio, da Facebook scopro un link ad un piccolo programmino che permette di calcolare quanto tempo della mia vita ho sprecato su Facebook (il cerchio si chiude).

facebook time machine

 

Ricordo ancora quel giorno, nella mia casa di studente a Bologna: da lì a poco sarei partito per l’Australia, dove avrei scoperto molte cose, tra cui l’avere una passione per scrivere roba corta, che non richiedesse la costanza certosina di un romanziere.

Da quel 23 giugno 2008 – mi stavo per laureare alla triennale – non mi è andata poi troppo male, se questo calcolo approssimativo è corretto. Nonostante passi sempre meno tempo su Facebook – il mio engagement rate è sprofondato, roba che dovrebbe far pensare gli studiosi di comunicazione dei media e gli stessi giornalisti quando condividono del contenuto online – e spesso, dicevo, mi scopra urtato dal dover rispondere a una notifica o ad un messaggio di chat che richiede la mia immediata quanto innecessaria attenzione, mi piace pensare  di averci guadagnato qualcosa, in questo scambio: ho consegnato volontariamente 24 giorni della mia vita – oltre a tutti i miei dati personali – e ci ho guadagnato molte risate, qualche amico e numerosi, interessanti spunti di riflessione. Poteva andarmi peggio.

Ho un po’ di insonnia, stasera.

Tutte i più bei reportage à la Snowfall dell’anno passato

Avete presente quelle bellissime narrazioni di lungo respiro che vanno tanto di moda ora nel giornalismo contemporaneo? Quel fenomeno multimediale HTML5/CSS3 che Mario Tedeschini Lalli definisce “lunga inchiesta trattata con gli strumenti di narrazione multimediale che scardinano la tradizionale pagina web e si offrono a una fruizione particolarmente efficace su tablet,” ovvero il cosiddetto snowfalling…?

Ecco. C’è un documento che raccoglie tutte le migliori. Scusate l’autoreferenzialità di questo tweet

Buona scrollata. Fatemi sapere se vi soffermate anche a leggere la storia, una volta esauritasi la fascinazione per il layout grafico.
Grazie Kasimir per la segnalazione. 

Dovunque suoni la melodia, la nota blues è sempre iperlocale.

4 Comments

Il blues deve quella sua maniera seduttiva, malia sospesa e ipnotica, ad una nota: la cosiddetta  blue note.
Niente più che una diminuzione nella scala tonale, in fondo, ma che non esce più dalla testa.

Questa settimana sarò ospite per il secondo anno degli amici di VareseNews e del loro Festival GLocal.
Quotidiano online locale, VareseNews. Spesso e volentieri iperlocale.

Parli con gli amici, salta fuori l’argomento del giornalismo, e immediatamente pensi al grande pezzo del quotidiano nazionale, ai palazzoni romani, agli studi televisivi di Nuova Iorc, ai grandi documentari, o quell’altra casta, “che tanto sono tutti uguali, vatti a fidare“.

Nell’immaginario comune l’iperlocale è ignorato, diventa  una diminuzione nella scala tonale del giornalismo.
Non proprio inesistente, ma di sicuro ininfluente.

E poi un giorno scopri che, mentre su Twitter le grandi firme dei palazzoni milanesi e romani (tutti gran compagnoni) annuiscono e condividono con dozzinale esterofilia e un tantino di bile il grande progetto del New York Times – un giorno scopri che un amico giornalista coinvolge l’intera redazione del proprio quotidiano locale e iperlocale per un estenuante giro della provincia, dalla grande città alla più piccola delle frazioni, con l’obiettivo di ascoltare il respiro del proprio territorio, il richiamo dei propri lettori, il ritmo del proprio, piccolo mondo iperlocale. 

Quarta diminuita, seduttiva e ipnotica. In diretta, in tempo reale, senza possibilità di errore.
Pura improvvisazione (o quasi). 

Un ritmo blues, appunto, che le grandi firme dei palazzoni hanno smesso di sentire, ormai da anni.

Mentre da Londra, ombelico del mondo global, mi preparo a tornare per (re)imparare a suonare la dolce melodia del giornalismo iperlocale, ripenso a dove tutto è iniziato. 

milena libera milocca

 

Un blog di paese. Il mio paese, poco più di 2,000 abitanti, nel cuore della Sicilia.
Si chiama Milena.

Ho iniziato a scrivere proprio qui, mentre mi trovavo in Australia. A coinvolgermi fu mio zio Alfonso, il medico del paese (ma definirlo così sarebbe riduttivo). Negli anni, ho contribuito come potevo, da Londra dall’Italia dall’Argentina, a volte senza neanche prendermi la briga di inviar nulla, che tanto sapevo che lo zio sarebbe venuto a pescare le foto più belle dal mio blog, senza che lo avvisassi. Poi passano i mesi, e mi ricordo che senza questo piccolo esperimento di giornalismo partecipativo, fatto per tenere assieme una comunità di poche anime, vicine ma soprattutto lontane, io non sarei nulla, e non sarei certo qui ad annuire e condividere con dozzinale esterofilia link su Twitter, sperando segretamente di essere ammesso nel cerchio dei più fighi.

 

 

A settembre, Milena Libera ha toccato 5 milioni di visite.

Milena.Wordpress è un blog, dove i vari membri si scambiano opinioni, fatti, idee  e commenti su quello che accade nel mondo.

Un sito wodpress, un indirizzo email, una scheda “Proponi” e un’altra che recita “Iscriviti”.

Tutto qui.
Milena Libera, bellissima creatura, vieni letta e commentata in tutti questi paesi.

Un blog che è (non fa) comunità. Proprio come il #141tour di VareseNews.

Un blog collaborativo, fatto di storie, provocazioni, campagne, risate, vignette, foto di emigrati, commenti e polemiche.

Ci si riempie tanto la bocca di engagement, ma il vero coinvolgimento lo fa chi apre tutte le porte ai lettori, butta via i lucchetti, e scende in strada ad ascoltare il ritmo blues del proprio, piccolo angolo di mondo.

Mi piace terminare in sospensione, con una canzone tanto ascoltata mentre ero in Argentina, suonata da un mitico chitarrista di un altro mondo.

La mia dimensione iperlocale di allora, ricordata nella cosmopolita Londra, con la carta di imbarco per Malpensa e la testa alla Sicilia più profonda e più amata.   

L’età pensionabile dovrebbe essere trent’anni.

Quanto mi ci identifico, di questi tempi.

Spectating has become a full-time job in and of itself— looking at other people’s LinkedIn pages, their Facebook page, their Wikipedia page— and now we judge ourselves too often by what we haven’t done, instead of what we have.

And so by age 30, if we haven’t done X, Y or Z, we’re left unfilled. There seems like there’s so much life out to be lived, and we’re called to it… whatever ‘it’ is.

[…]

Now, it’s almost assumed that whatever it is that you’re doing, you must love it. Otherwise you wouldn’t be answering email at midnight and sleeping with your phone in your bed.

So as you get older, and have spent years plugged into this matrix where everything is work work work— where your mind is never able to turn off— you age a lot. Maybe not in physical years, like in the sense that you’re 60. But you’re 30 and you’ve somehow managed to squeeze double the amount of work into that period of time.

You’re old. Mentally.

[…]

So being unsettled and wanting more out of life is not a millennial problem or a hipster problem or a ‘whatever new word marketers are using to describe young people’ problem. It’s really a problem of being ‘plugged in’ all the time, and never being given the freedom to shut off.

Because society has a problem with leisure. The idea of sitting around doesn’t sound sexy. Winners never quit. Go hard or go home. Always be closing. Or some shit like that.

Whatever.

You need a break. Just retire. Then start on something new. You may fail. But ultimately you’ll thank yourself later

 

Grazie a Paul Cantor, Medium. 

Il MozFest: link e appunti utili per il giornalista/sviluppatore/visionario

Lo scorso weekend ho partecipato al Mozilla Festival a Londra, a cui ha già accennato anche PierLuca Santoro parlando di uno dei workshop in cui sono stato coinvolto, ovvero quello su come stabilire dei criteri di analisi qualitativa intorno all’engagement online dei lettori.

Cos’è il MozFest.

Una roba del genere. Un appuntamento nerdissimo organizzato da quelli del browser Mozilla (non Internet Explorer; non Chrome, quello figo; l’altro) che da tempo si spendono in lodevoli iniziative, tra le quali aiutare le redazioni in difficoltà mettendo a disposizione sviluppatori, tecnici, hackers e esperti di data analisi pagati per creare nuovi strumenti per fare giornalismo col compiuter.

Il tutto, ovviamente, in maniera OpenSource.
Coloro che sono stati a Perugia all’ultimo festival del giornalismo avranno familiarità con la faccetta barbuta e simpatica di Dan Sinker. C’era anche lui, al MozFest londinese.

Il tutto è stato molto, molto americano, anche per via degli accenti yankee ubiqui nel fantastico open space messo a disposizione in zona Greenwich, vicino alla O2 Arena. 

Tanti discorsi sul web libero, sul fatto che il web siamo noi, e noi siamo liberi, e in quanto tali abbiamo il dovere morale di accrescere e condividere il sapere comune con i nostri polpastrelli, sempre e comunque. Tanti applausi, tanti mac, tanti smartphones, ma soprattutto tanti laboratori e seminari divisi in percorsi – mobile, giornalisti, web fisico, comunità etc. – a cui era possibile accostarsi e partecipare. Ogni sessione di lavoro aveva un momento obbligatorio di presentazione, e uno di brainstorming.

 

Tutto molto democratico, per carità. Tuttavia, chi – come me – è andato per imparare qualcosa da qualcuno (sapienza passata dall’alto verso il basso, magister vs discipulus), ha avuto qualche perplessità, di quando in quando. (es. durante il workshop su come produrre soluzioni mobile per fare storytelling di comunità difficili da contattare/raggiungere, mi sono trovato a dover discutere del sentimento di invisibilità provato dalle prostitute nigeriane in Romania … e io che volevo fare codice!)

Forse noi italiani – o popoli europei – non siamo abituati a questo tipo di gestazione creativa, preferendo soluzioni di comodo tutto-e-subito, sperando di poter pendere dalle labbra di qualcuno invece che mettersi in gioco in una discussione che potrebbe prendere una direzione tortuosa e imprevista.

Ciononostante, questa forma mentis permette l’esistenza di eventi del genere, in cui le sinapsi si attivano e si creano sinergie creative. Poco spazio al pessimismo cosmico, o peggio, al complottismo istituzionale.

Ma veniamo a noi.

Cosa posso condividere.

In puro stile MozFest, butterò qui una serie di strumenti e links a caso, di modo che ciascuno di voi possa attingere a piene mani a seconda dell’interesse. Nessun ordine gerarchico.

  • – Mozilla ha presentato il progetto Webmaker, che include tra le altre cose Together.js , una libreria opensource Javascript che aggiunge strumenti collaborativi per creare prodotti per il web assieme ad altri utenti (immaginatevi qualcuno da San Francisco che vi aiuta in tempo reale mentre fate codice, un po’ alla Patrick Swayze in Ghost)  e Web Literacy Standard — una mappa di skills e competenze informatiche creata dalla community. Il motto, ovviamente, è quello di ‘insegnare’ il web;
  • – Ho scoperto, nell’ambito di Webmaker, due strumenti chiamati Popocorn Maker e Thimble per creare facilmente pagine web. Strumenti potenzialmente utilissimi anche per il giornalista, soprattutto per quegli illuminati che vogliono iniziare ad imparare da soli quello che altri potrebbero fare per loro (rendendosi, in una parola, indispensabili in una redazione). Thimble funziona come JFiddle, e serve a visualizzare HTML e CSS immediatamente mentre si fa codice. PopCorn Maker permette di creare mashups fra video, audio e immagini da embeddare su siti internet.
  • – Lo storytelling del festival è stato fantastico. Come ho twittato, c’era un’area apposta dedicata allo storytelling, e ogni sessione recava in dote un blocco note interattivo su cui prendere appunti collettivamente in tempo reale. Tutti gli appunti di tutte le sessioni sono disponibili nella sezione SCHEDULE del sito MozFest. Qui trovate il Tumblr ufficiale.

 

– Mentre imparavo come ‘misurare’ l’effetto della notizia, ho incontrato Steve Abbott che illustrava come il Guardian sfrutta le metriche in tempo reale per vedere la quantità di visite, shares, tempo in pagina etc. di ogni pezzo pubblicato sul sito. Lo strumento utilizzato si chiama ophan, sviluppato da quest’uomo;

– Mi sono iscritto a GitHub, nonostante non abbia ancora scritto del codice rivoluzionario che possa cambiare le sorti dell’umanità; sto facendo il sito a Valentina, la mia ragazza, ma questa è un’altra storia;

– Ho scoperto questo sito per trovare cose curiose sulla rete a seconda dei propri interessi: UpWorthy, consigliato da Abbott

– Ho re-incontrato il mio vecchio tutor alla City, che ora produce un CMS studiato per i giornalisti: sma.rte.st. Opensource, vi consiglio di scaricarlo se volete smanettarci un po’ (questo sito, TechCityNews, ha dietro smartest);

– Visualrevenue.com: suggerimenti in tempo reale su dove conviene posizionare le proprie storie, a seconda del momento e delle discussioni online. Permette  soprattutto di creare differenti titoli per la stessa storia da condividere online, di modo da ottenere più shares e/o engagement. Il titolo di una storia, infatti, ha più o meno efficacia a seconda che io lo legga  su Twitter, Facebook o sulla homepage di un sito: alcuni titoli stimolano la interazione, altri il commento, altri invece la semplice condivisione senza lettura. Visualrevenue ne prova diversi, in tempo reale, e li gerarchizza a seconda della efficacia.Screen Shot 2013-11-04 at 13.09.31

– Lumi.do: dategli fiducia una e una sola volta. Ispeziona la tua cronologia per poterti offrire un feed di notizie personalizzato basato sui tuoi gusti passati; 

– Ho imparato a fare la mia prima web app da solo (c’è stato anche un workshop su mobile webdesign offline, con quelli di http://hood.ie, le cui note sono disponibili qui)

– MOBILE STORYTELLING FOR HARD TO REACH COMMUNITY 

Ho scoperto il progetto QUIPU per permettere alle donne delle più inaccessibili comunità peruviane di raccontare le storie individuali sulla barbarie della sterilizzazione forzata (anni ’90). Come? “By combining both low-tech (mobile) and high-tech (VOIP) technologies, Quipu will record and distribute personal oral histories, alongside an audio-based interactive platform connecting this living documentary to the rest of the world.

Ne parlerò più approfonditamente in questa sede.

– Ecco come fare a costruirsi la propria app mobile e metterla a disposizione sul Mozilla Store, e alcune utilissime librerie per web design e fonts.

– Sono venuto a conoscenza di Tabletop.js. Cos’è?Imagine it’s a read-only, JavaScript CMS that you can edit through Google Docs. It’s like Christmas up in here. Con Tabletop.js, si possono fare cose del genere.

contextual video player with popcorn.js by @maboa

The WNYC mayoral tracker uses Tabletop along with Backbone.js

Facebook-esque timeline from Balance Media (with a git repo)

Mapsheet creates super easy, customizable maps.

Infine, per gli amanti delle presentazioni facili facili, senza troppo codice o nerdaggio, ecco un slid.es dei fondamentali attrezzi nella cassetta di ogni giornalista digitale. 

Forse la cosa più facile da fruire, al volo.

BUM!

Detto questo, direi che mi sono guadagnato un badge per aver contribuito a ‘ridefinire il futuro della rete’. O forse no.

Riportiamo Devis a Casa

Devis era un mio amico.
Devis aveva 33 anni.
Devis è morto martedì.

Nel 2008 si era trasferito da Chiampo, paese in provincia di Vicenza, a Londra, città che lo ha adottato come pizzaiolo e dove da allora viveva.

Da qualche settimana lamentava perdite di memoria, dislessia, raccontava di essersi perso in zone che conosceva molto bene e diceva di percepire il mondo in modo diverso. Domenica 20 Ottobre, a causa di forte mal di testa lo abbiamo accompagnato al Royal London Hospital dove è stato ricoverato. In una settimana, dopo essere stato posto in coma farmacologico e aver subito un’operazione, e’ stata dichiarata la morte cerebrale. Il tumore era troppo aggressivo e non è stato possibile operare o intervenire in alcun modo.

La sua famiglia ha deciso di donare i suoi organi, salvando così la vita di almeno altre 5 persone.

Ora i familiari si trovano a dover fronteggiare i costi per riportare Devis a casa in Italia, per non avere il figlio sepolto a migliaia di chilometri di distanza. I costi sono ingenti, almeno 1800 sterline, senza calcolare i costi successivi di funerale e sepoltura.

Aiutateci ad aiutarli. Qualsiasi donazione, anche anonima, può fare la differenza.

Si può donare tramite PayPal o, per tutti coloro senza un account paypal, anche via carta di credito o trasferimento bancario.

Come? Se finite su Paypal, vedrete l’immagine di tutte le carte con scritto Don’t have a PayPal account? Use your credit card or bank account (where available). Continue

UPDATE
Londra, sabato 2 novembre, ore 18,36 

CE L’ABBIAMO FATTA. MA E’ SOLO L’INIZIO! 

A poco più di un giorno dal lancio dell’appello per le donazioni, abbiamo già superato la quota prefissata. Grazie all’aiuto di tutti voi, Devis potrà finalmente riposare vicino ai propri cari.

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Ci sono ancora cinque giorni di tempo per donare. Molte persone ci hanno scritto dicendoci che il loro contributo deve ancora arrivare: il passaparola per questa buona causa continua, travolgente, e non si ferma certo ora che il primo obiettivo è stato raggiunto.
Vediamo dove arriviamo, ormai non ci poniamo più alcun limite: chissà che non riusciamo, tutti assieme, a coprire anche i costi del funerale in Italia.

GRAZIE A TUTTI, SIETE SPLENDIDI.