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ULTIM’ORA: impavido papà che viaggia da solo con le figlie fa ancora notizia

Se un papà viaggia da solo in aereo con due bambine piccole, è un eroe. Coraggioso, intrepido. Se lo fa una mamma, passa semplicemente inosservata. Se non addirittura biasimata.

LUI

Vengo da un lungo weekend in Sicilia con le nostre due bambine. Le ho portate giù da solo, mia moglie non è potuta venire per motivi di lavoro. Bambine piccole, 1.5 e 3.5 anni, non sempre facilmente gestibili. Immaginatevi quella di un anno e mezzo che muore di sonno e fame, urla da strapparti la pelle di dosso e si divincola nel tunnel per raggiungere l’aereo, dove siamo bloccati da 60 minuti, fermi immobili, in attesa che arrivi un aeromobile che dovevamo prendere 25 ore prima. Prima che l’Etna eruttasse e spargesse ceneri e lapilli ovunque (“papà, da quella montagna escono tante nuvole! che bello!”).

In quei momenti non alzi gli occhi verso i vicini di coda, evitando così ogni tipo di sguardo compassionevole che sa di estrema unzione.

Al netto di quello sguardo, per tutta la durata del viaggio – all’andata, al ritorno, con le bimbe buone o con le bimbe che urlano/scappano/leccano il pavimento – è stato tutto un: “ma che bravo papà”, “davvero è qui da solo con le bambine?”, “complimenti”, “congratulazioni”, “che fulgido esempio di vigore”, “ah, il maschio italico”, etc.

Un operatore socio-sanitario si è perfino offerto di darmi una mano a cambiare i pannolini, se mai ne avessi avuto la necessità (…)

Lodi sperticate sono arrivate a sopresa anche da una mamma che – confesserà poi – si è cresciuta tre figli. Da sola. Il mondo alla rovescia: sarei io semmai a dovermi genuflettere ai suoi piedi, mica il contrario, dato che in fondo sono stato da solo con le bimbe appena qualche ora.

Premesso che mi sembra di aver fatto una cosa molto faticosa per il folle rapporto costo/benefici (pochi giorni di permanenza in Sicilia, grande sbattone), ma nulla di veramente eccezionale, la mia è stata una truffa. Circonvenzione di incapaci. Il resto della mini-vacanza, infatti, spostamenti esclusi, l’abbiamo trascorsa con i nonni a casa dei nonni.

Che avventura fantastica non partire e rimanere bloccati in una città a caso, papà!

LEI

Sei mesi prima di questo increscioso viaggio, mia moglie è stata una settimana da sola al mare con le due adorabili piccole pesti, e tutt’al più ha raggranellato qualche appunto del tipo: “non le sembra sia l’ora di tornare in albergo, con questo caldo?”, oppure: “l’ha messa la crema solare alle bambine?”.

Nessuno che la fotografava di nascosto per candidarla a sua insaputa al Nobel per la pace. Nulla di nulla. L’ordinarietà più totale, niente da segnalare, tutto comme d’habitude.

https://www.instagram.com/p/CaPSr29qVUy/

Ora, non starò qui a fare il pippone moralistico.

Riporto solo un freddo dato esperienziale: ho trascorso meno tempo viaggiando in solitaria con le due principesse rispetto alla durata di uno solo dei due travagli.

Figuriamoci a spingere. Io.

Isolamenti covid: dubbi e risposte sui numeri in Friuli Venezia Giulia

Il mio test fai-da-te positivo del 18 gennaio 2022

Sono risultato positivo ad un tampone rapido in farmacia il 19 gennaio 2022. Il giorno prima, avevo scoperto che qualche problemuccio Covid in famiglia effettivamente c’era da un test fai-da-te acquistato in farmacia.

Nessun contatto dal dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria di Udine, Asufc, ma questa è ormai la normalità ovunque: i servizi sono oberati da migliaia di casi da processare ogni giorno e sono fiaccati dalle tante assenze per malattia.

Nei giorni scorsi qui mi sono chiesto se il bollettino Covid diramato ogni giorno dalla Regione includesse – nel computo delle persone in isolamento – anche i cittadini positivi mai contattati dalle aziende sanitarie.

Ho avuto risposta da alcuni dirigenti, e così posso aggiornare questo post: anche se l’azienda sanitaria NON telefona, non vuol dire che non sappia che sei positivo.

Ogni giorno, alle 14 e alle 23, i dipartimenti di prevenzione raccolgono i numeri sulle positività (rapide e molecolari): queste persone vengono considerate automaticamente anche in isolamento.

In realtà, se ai nuovi positivi quotidiani sottraiamo le persone guarite, c’è sempre qualche discrepanza (una decina di casi al giorno) rispetto ai nuovi isolamenti. Ma tant’é.

Rimangono invece i miei interrogativi su un altro set di dati: la mappa Covid della Protezione Civile FVG.

Prendiamo la data del 23 gennaio. In totale sono contate 30.728 persone “attualmente positive”. Di queste, prese in carico dal sistema sanitario risultano 12.419 – meno della metà -, mentre le “attualmente in quarantena” (ovvero chi ha avuto un contatto con un positivo) 2.275.

La situazione a Trieste: tutti i positivi presi in carico miracolosamente da Asugi

Noto tuttavia – sia sulla mappa, che sul foglio csv contentente lo storico dei dati – come nei comuni Asugi (l’azienda sanitaria delle ex province di Gorizia e Trieste) ci sia totale aderenza tra gli attualmente positivi e quelli presi in carico dal sistema sanitario. Per il 23 gennaio, a Trieste, per esempio, sono 4.025 in entrambe le caselline. A Monfalcone, 632 per tutte e due, e così via.

Alla luce delle numerose denunce di disservizi nel sistema di tracciamento da parte dei cittadini, è impossibile che l’azienda sanitaria giuliano isontina riesca a prendere tutti in carico tutti i giorni. Il dato appare necessariamente falsato.

Almeno a partire dall’8 marzo 2021, giorno in cui i dati delle prese in carico di positività iniziano ad essere inviati i da Asugi nel database della protezione civile.

Ho chiesto delucidazioni all’azienda sanitaria, sono in attesa di risposta.

La Motorizzazione non vi ha abbandonati, è stata abbandonata

Sala esami alla motorizzazione di Gorizia – Fonte: Regione FVG

In tutta Italia, la Motorizzazione Civile da anni non se la passa benissimo. Sai quando entri per una pratica, non sai quando ne esci con la firma. In Friuli Venezia Giulia, la situazione è seria, come altrove, ma aggravata dal fatto che risponde a Trieste, non a Roma. Questo vuol dire che, se fosse efficiente, ne guadagnerebbe la Regione, e invece ogni anno è sempre peggio. In attesa di rinforzi che ancora all’orizzonte non si vedono.

Te ne accorgi quando ci hai a che fare – e, se non sei del settore, non ci hai a che fare spesso, nella vita. Succede che avvio una pratica per reimmatricolare qui in Italia il mio veicolo acquistato in Francia, e da fine novembre fino a metà gennaio rimango in un limbo.

I pochi dipendenti rimasti in Motorizzazione si alternano in telelavoro, e molte attività di sportello ordinarie sono affidate alle agenzie private.

Nel mio caso, non potendo rivolgermi direttamente alla Motorizzazione, mi rivolgo all’ACI, Automobil Club Udine che acquisisce i documenti e li trasmette in Motorizzazione. Da quel momento, silenzio. Nessuna risposta alle mail. Il centralino non può passarti nessun ufficio. Agende di appuntamenti per gennaio che al 29 dicembre sono ancora chiuse. Rendez-vous dopo 15 giorni. ACI non può dirmi a che punto è il dossier. Lo sa solo la Motorizzazione, che però non risponde.

I disagi per le aziende

Ma io non smuovo nessun punto di PIL. Altri, lo fanno, e si interfacciano quotidianamente con la Motorizzazione per revisioni, passaggi di proprietà, conversione patenti. 

In FVG, le associazioni di categoria interpellate denunciano aziende agricole che rischiano di perdere contributi perché una immatricolazione arriva dopo più di un mese, invece che 2-3 giorni. Ditte di spedizioni che acquistano un veicolo in leasing e iniziano a pagarlo, ma possono usarlo per mesi perché non arriva una autorizzazione. 12 mesi per accreditare all’utilizzo aule didattiche per la formazione nel settore autotrasporto, su tempistiche che normalmente sono di 3-4 mesi. 

Le cause dei disservizi

  • Il più grosso problema è quello dell’organico, ridotto ai minimi termini. Si lavora con circa metà del personale necessario per far girare a pieni giri la macchina amministrativa. Una situazione aggravata dal personale in età avanzata, dai pensionamenti (quota 100) e dal blocco dei concorsi pubblici. In provincia di Pordenone, ad esempio, se nel 2016 c’erano 30 persone, nel 2022 saranno in 15. Quando c’è un unico sportellista per migliaia di pratiche, e va in ferie, o malattia, si paralizza un intero settore;
  • La situazione è stata parzialmente tamponata dal ricorso ai contratti di somministrazione. Ma quando ne trovi uno bravo, e poi gli scade il contratto, è un problema. Devi formarne un altro, e servono mesi;
  • Nel 2016 le competenze sono passate dalle ex province alla Regione. La direzione è ora unificata, ma gli uffici continuano a lavorare in maniera sovrapponibile a quanto si faceva con le vecchie province, ha denunciato un consigliere regionale;
  • Deflagrante è stata l’entrata in vigore, durante la pandemia, del Documento Unico di Circolazione (DUC). Prima, il libretto e il certificato proprietà venivano gestiti da due amministrazioni diverse, ACI-PRA e Motorizzazione, ognuna con le sue competenze. Già farle dialogare, uniformare le procedure, non è facile. Ma il DUC ha stravolto il vecchio modo di fare le pratiche: tutto è digitalizzato, ma le amministrazioni e il personale lavorano ancora su faldoni cartacei da digitalizzare. Siamo in una fase di transizione in tutta Italia, ma quando hai poco personale, è un problema.
  • In FVG, per non farci mancare nulla, siamo anche senza direttore regionale; al momento, c’è un vicedirettore con incarico fino al 31 marzo;
  • La pandemia e il ricorso al telelavoro non hanno aiutato, ecco.

Un’opportunità sprecata

La Motorizzazione in FVG, sotto la direzione della Regione, potrebbe essere esempio di virtuoso federalismo fiscale, visto che i diritti incamerati finiscono proprio nella casse della regione. 

Secondo Giulio Zilio, referente regionale della Federazione Autotrasportatori Italiani (FAI), “è di difficile comprensione questi mancati investimenti nel personale, quando si tratta di uffici che sono in attivo, incassano puntalmente dalle imprese e potrebbero anche investire in strutture e personale. Come indica Francesco Osquino, vice segretario nazionale studi dell’Unione Autoscuole e Studi di Consulenza Automobilistica (UNASCA), “nei prossimi anni ci saranno moltissimi pensionamenti, l’età media dei dipendenti Motorizzazione è elevata, serve programmazione per dare certezze al cittadino”.

La risposta della regione
Se nel resto d’Italia bisogna aspettare il Ministero dei Traporti, in FVG è la Regione stessa che dovrebbe bandire i concorsi per il personale. Pare la Giunta si sia impegnata a tenere in dovuta considerazione, nell’ambito delle imminenti assunzioni di personale, l’incremento di organico della Motorizzazione Fvg. L’assessore competente, Graziano Pizzimenti, promette rinforzi entro la primavera. “Sappiamo benissimo qual è lo stato della Motorizzazione che non è certamente idilliaca”, mi ha detto quando l’ho intervistato per un servizio del TG regionale RAI. Stiamo bandendo un concorso per ingegneri meccanici che andranno specificatamente in Motorizzazione civile”.

Basterà? Boh. Non ho tutte le risposte. Se non avessi avuto una necessità, probabilmente avrei ignorato l’esistenza della Motorizzazione Civile per diversi altri anni ancora.

Eppure mi chiedo se valga ancora la pena di tutta questa burocrazia, con termini e procedure da dopoguerra.

In Francia, all’epoca, avevo fatto domanda per la targa francese su un portale online, a cui si accede con le stesse credenziali utilizzate per la dichiarazione dei redditi (in pochi clic). Mandi in via telematica i documenti richiesti, paghi una frazione di quanto paghi in Italia, ti arriva via posta il libretto, e vai in qualsiasi officina a farti stampare una targa. Così, per dire.

La mappa dell’accoglienza dei minori stranieri in Friuli Venezia Giulia

Secondo l’ultimo report governativo, il Friuli Venezia Giulia è la terza regione in Italia per ripartizione di minori stranieri non accompagnati (MSNA) a livello nazionale, con 831 ragazzi ospitati sugli oltre 7.800 presenti in Italia. Queste le strutture che ad agosto 2020 ospitavano minori, per lo più entrati sul territorio nazionale dalla frontiera orientale lungo la rotta balcanica. La spesa degli enti locali viene coperta in parte dallo Stato tramite prefettura (45 euro al giorno) e parte dalla Regione.

(in aggiornamento)

Il funerale di Enzo Baldoni (che poi non è andato esattamente secondo i suoi piani, ma pazienza)

Sto studiando per l’orale dell’esame di Stato da giornalista professionista e mi sono imbattuto nella biografia di uno dei tanti reporter uccisi facendo il mestiere più bello di tutti. Parlo di Enzo Baldoni, ammazzato in Iraq nel 2004 dopo un breve rapimento. La sua salma rientrò in Italia solamente sei anni dopo, quando si poterono finalmente celebrarne le esequie.

Stando a quanto riportano la pagina Wikipedia e tanti altri blog, come questo del Sole 24 Ore, lui avrebbe voluto che si fossero tenute così:

«Vorrei che tutti fossero vestiti con abiti allegri e colorati. Vorrei che, per non più di trenta minuti complessivi, mia moglie, i miei figli, i miei fratelli e miei amici più stretti tracciassero un breve ritratto del caro estinto, coi mezzi che credono: lettera, ricordo, audiovisivo, canzone, poesia, satira, epigramma, haiku. Ci saranno alcune parole tabù che assolutamente non dovranno essere pronunciate: dolore, perdita, vuoto incolmabile, padre affettuoso, sposo esemplare, valle di lacrime, non lo dimenticheremo mai, inconsolabile, il mondo è un po’ più freddo, sono sempre i migliori che se ne vanno e poi tutti gli eufemismi come si è spento, è scomparso, ci ha lasciati. Il ritratto migliore sarà quello che strapperà più risate fra il pubblico. Quindi dateci dentro e non risparmiatemi. Tanto non avrete mai veramente idea di tutto quello che ho combinato. Poi una tenda si scosterà e apparirà un buffet con vino, panini e paninetti, tartine, dolci, pasta al forno, risotti, birra, salsicce e tutto quel che volete. Vorrei l’orchestra degli Unza, gli zingari di Milano, che cominci a suonare musiche allegre, violini e sax e fisarmoniche. Non mi dispiacerebbe se la gente si mettesse a ballare. Voglio che ognuno versi una goccia di vino sulla bara, checcazzo, mica tutto a voi, in fondo sono io che pago, datene un po’ anche a me. Voglio che si rida – avete notato? Ai funerali si finisce sempre per ridere: è naturale, la vita prende il sopravvento sulla morte – . E si fumi tranquillamente tutto ciò che si vuole. Non mi dispiacerebbe se nascessero nuovi amori. Una sveltina su un soppalco defilato non la considerei un’offesa alla morte, bensì un’offerta alla vita. Verso le otto o le nove, senza tante cerimonie, la mia bara venga portata via in punta di piedi e avviata al crematorio, mentre la musica e la festa continueranno fino a notte inoltrata. Le mie ceneri in mare, direi. Ma fate voi, cazzo mi frega. Basta che non facciate come nel Grande Lebowski.»

Enzo Baldoni, messaggio inviato in una delle sue mailing list

Un’idea che trovo splendida e che in fondo non disdegno neanche io, per il momento in cui anche a me toccherà dire: “arrivederci”. E pazienza se poi la realtà faccia scansare questa colorata e allegra speranza e riporti mestamente la barra a dritta.

Gonfalone, occhiali scuri e compita asciuttezza, come si vede dalle foto del funerale di Baldoni “nella piccola chiesa di Santa Maria della Pietà di Preci (Perugia)”. “Così si è fatto pensando al papà di Enzo, Antonio, 88 anni, e anche Enzo metterebbe il suo babbo al primo posto”, riportano le cronache dell’epoca.

Del funerale fatto di canti, balli, risa, scherzi, cibo e sesso, senza retorica, rimangono le foto con il sorriso, una frase di Marguerite Yourcenar e una bella tomba a forma di balena.

Le cose che si imparano durante un permesso di paternità di molti mesi

Manca un mese alla fine del mio permesso di paternità (tecnicamente: congedo parentale) di quattro mesi e forse dovrei iniziare anche io a trarre un bilancio di questa densissima esperienza. Al momento, tuttavia, ho il cervello in pappa dopo una notte insonne e Matilde piange sul seggiolone: ha troppo sonno ma non riesce ad addormentarsi.

E così non mi resta che scusarmi e affidarmi alle parole (in spagnolo) di qualcun altro. Vi linko e traduco di sotto un bell’articolo, che non merita di andare perso nel flusso quotidiano delle cose.

Cosas que he aprendido en mi permiso por paternidad de siete meses en Alemania

TRADUZIONE: Il primo giorno del mio congedo di paternità, Amalia ed io abbiamo accompagnato la mamma al lavoro. È lì che allatta ancora una volta, prima di salutarci. Sulla strada di casa andiamo al supermercato, in farmacia e a fare delle commissioni. Amalia è avvolta in un grande fascia sul mio torso, stretta contro il mio petto, placidamente addormentata. Le donne in autobus, soprattutto le più anziane, sorridono quando ci vedono. Gli uomini fingono di non vederci.

Quando abbiamo scoperto che il congedo di maternità e paternità in Germania, Elternzeit, “il tempo dei padri”, dura fino a 14 mesi da dividersi nella coppia, abbiamo subito iniziato ad organizzarci, felici. Non appena lo hanno saputo, i miei amici spagnoli, giovani e meno giovani, si sono congratulati con me, specialmente coloro che sono stati genitori, posseduti da una sana e gioiosa invidia.

Avevamo circa 58 settimane davanti a noi, il congedo di maternità dei miei amici spagnoli era stato di sole 16 settimane. Quello di paternità, invece, era durato solo due settimane. I congedi facoltativi sono stati estesi a quattro settimane a partire dal gennaio 2017. Anche il papà aveva la possibilità di scambiarsi di ruolo con la madre, anche se in realtà ben pochi ne hanno approfittato.

Tutti, padri e madri, ci chiedevano come l’avremmo distribuito. Sia io che la mia compagna volevamo passare più tempo possibile con Amalia, che sarebbe stata bambina solo una volta, ma al contempo non dissociarci dai nostri rispettivi lavori. Abbiamo deciso di fare il primo mese insieme, in famiglia, e dividere il resto in due metà.

Non sapevamo ancora che anche in Germania, come in Spagna, non è comune dividersi equamente il permesso. La durata media del congedo di maternità è di 13,8 mesi, mentre la durata media dei permessi parentali è di 3,7 mesi –  secondo statistiche del 2017. Queste cifre si stanno livellando, ma gli uomini, se si prendono un lungo congedo, continuano nella loro cerchia a dover subire commenti sessisti. Sapevo, per esempio, che alcuni chiamano il congedo di paternità “la vacanza dei padri” – come se prendersi cura di un bambino non fosse di per sé un vero e proprio lavoro, bensì una scusa per non lavorare. “Rimanere a casa… e tua moglie?”, mi hanno detto altri che sono rimasti sorpresi dalla mia decisione.

Era la prima volta che mi sentivo messo in discussione sul piano sessuale, una cosa che mi era sempre parsa umiliante ma che non avevo mai vissuto in prima persona. Si è trattato di un attacco doppio: metteva in discussione sia l’opportunità di prendersi cura del mio bambino sia il diritto della mia compagna di fare ritorno prima alla sua vita professionale. Questa volta, così come in altre occasioni – anche se mi sento un codardo a scriverlo – ho evitato di fare polemica, come invece avrei voluto. Ho semplicemente insistito, ad ogni attacco, che questa decisione era una questione privata, mia e della mia partner.

La prima metà del nostro congedo l’avrebbe presa dalla madre, anche per via del suo legame con la bambina. Andavo al lavoro non senza immaginarmi, ogni giorno, come sarebbe stato il mio congedo di paternità: mesi che avrei passato tranquillamente con la mia bambina in cui, tra l’altro, mentre lei dormiva o giocava, avrei potuto dedicare un po’ di tempo a me stesso, ai miei progetti, alla scrittura, all’arte e così via… Ma la realtà si è rivelata diversa.

Arrivati a casa, approfittando del fatto che con Amalia era nella fascia e avevo le mani libere, ordino la spesa e la cucina. “Beh, piccola mia, eccoci qui”, le dico dolcemente mentre la libero al marsupio. Si sveglia e scoppia in lacrime, come sempre quando la tiriamo fuori dai porta bebé, e il suo pianto riempie improvvisamente la casa, la luce e la freschezza del mattino.

La consolo, le cambio il pannolino. Quindi giochiamo. Poi fa una faccia triste, sbadiglia e si strofina gli occhi. La cullo con tenerezza mentre ripasso mentalmente le cose da fare: sparecchiare la colazione, ordinare, occuparmi della burocrazia in arretrato… Cose che mi tocca fare perché, dopo tutto, sono io quello che “rimane a casa”. Spero di avere il tempo di sdraiarmi con lei per leggere o scrivere un po’.

Niente, non dorme. Non vuole nemmeno mangiare e ogni volta che mi allontano da lei mi chiama insistentemente, con urla e pianti. Inizio a chiedermi cosa fare delle migliaia di cose che uno potrebbe fare con il proprio bambino. Ho tante idee… Da dove cominciare?

La prima cosa che mi ha sorpreso del mio congedo di paternità è stato, come ho detto, la messa in discussione delle mie capacità e dei diritti legati al mio sesso.  

La seconda cosa che mi ha sorpreso è mia figlia stessa, il rendermi conto che ha un’energia, un’espressività e un carattere che non conoscevo. Nei momenti belli mi fa impazzire. E anche in quelli brutti.  

Fino ad ora avevo visto Amalia solo pochi minuti al mattino – felice, ma con il pensiero fisso di dover andare al lavoro – e nel tardo pomeriggio, entrambi già stanchi, lei un po’ piangente, io un po’ scontroso, umore e pazienza già logori, tuttavia felice di essere tornato a casa. Anche la mia compagna, allora, sembrava molto stanca, a volte più di me. Provavo ad aiutarla con la bimba e tutto ciò che era rimasto da fare a casa….. anche se ne ero sorpreso: d’altronde non ero io quello che tornava da otto ore di lavoro? Poi arrivavano i fine settimana in cui entrambi ci prendevamo cura della piccola insieme, sollevati da un giorno senza impegni.

Ora, con giorni interi dedicati alla mia bambina, ho scoperto che prendersi cura di lei, stare con lei, è stare con una persona molto più complessa ed esigente, che richiede molta più attenzione, tempo ed energia di quanto immaginassi. Per fortuna li ho e non si tratta di meri scampoli di giornata, bensì della parte principale delle mie ore e del mio potenziale.

La terza cosa più sorprendente è che, in qualche modo, non solo io ho scoperto mia figlia, ma anche lei ha scoperto me. Abbiamo costruito una connessione, un’intimità, una fiducia, una complicità in cui per lei tutto è nuovo, e lo è in una certa misura anche per me. Perché insieme ad Amalia ho scoperto quante energie, pazienza, amore, forza e tempra bisogna avere per stare giorni interi, uno dopo l’altro, da soli con il proprio bambino. Unico responsabile sia di lei che della casa, senza che nessuna delle due cose sfugga di mano: tenere tua figlia ben pulita, nutrita, riposata e sicura perché possa crescere in pace; accompagnarla e allo stesso tempo mantenere l’ordine e la pulizia in casa, tutto in ordine in dispensa, fare la spesa, pianificare i pasti… dimentico qualcosa?……… Sì, me stesso: aver cura di mangiar bene, tenersi bene, vestirsi come piace, fare cose buone per la propria salute, mantenere quello spirito che ci rende come un po’ piacevoli, a noi stessi e agli altri.  

Sono lavori e sforzi che, nel nostro mondo machista, hanno fatto sempre le donne, spesso da sole, anche dopo il ritorno dal lavoro dei propri partner. Mia madre, le mie nonne, le mie zie, le mie cugine, le mie amiche….. donne, le donne che, generalizzando, continuano a farlo in stragrande maggioranza. Donne che ora vedo con altri occhi, per quell’enorme lavoro che fanno e che viene valorizzato così poco, allo stesso modo in cui vedo anche gli uomini con uno sguardo diverso, per tutto quel lavoro che non faranno e quell’esperienza che non potrà più arricchirli.

Dal 5 luglio scorso, in Spagna, il congedo di paternità è stato prolungato di un’altra settimana. Andiamo per le cinque settimane, non trasferibili e non obbligatorie. E non si tratta dell’unico cambiamento in vista. Il 27 giugno, al Congresso, è stato approvato un disegno di legge per estendere progressivamente il congedo di paternità a 16 settimane nel 2024.

Quando la mia compagna torna dal lavoro non le interessa che alcune cose che avrei dovuto fare non siano state fatte. Mi aiuta subito, così come l’ho aiutata io quando tornavo a casa dal lavoro. Ci guardiamo l’un l’altro,  complici. Ride perché ora sa che capisco la sua stanchezza. Perché conosce la gelosia che provo per Amalia la quale, al vederla arrivare, mi salta tra le braccia con gioia e gratitudine, come faceva quando tornavo io dal lavoro, anche se era stata lei ad aver trascorso l’intera giornata con nostra figlia, dedicandole io suo tempo, le sue energie e il suo amore.

E qui arriva l’ultima sorpresa, e cioè che tutto questo non ha fatto altro che unirci di più come coppia, rafforzando la fiducia reciproca del lasciare le cose nelle altrui mani, nel rispetto di quel lavoro che è la cura per i propri figli, per la propria casa e le rispettive vite professionali.

Quante tonnellate di merci chimiche viaggiano in Italia su gomma? E verso dove?

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Dopo l’incidente della circonvallazione di Bologna, in cui un’autocisterna che trasportava GPL ha tamponato dei tir causando esplosioni a catena, un morto e decine di feriti, ho realizzato questa visualizzazione per euronews sulla scorta dei dati Istat. Ho provato per la prima volta Flourish, mi sembra uno strumento valido per fare data visualisation point-to-point rapide, efficaci e gratuite.

Dataset: trasporto merci su strada;
Territorio di immatricolazione Italia;
Quantità: tonnellate;
Tipo di merce: prodotti chimici, articoli in gomma e materiale plastiche;
Anno: 2016.

Una domanda semplice a chi proprio non può tollerare l’idea di salvare la vita di un migrante

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Gentile [razzista-random], quanto è migliore la tua vita se entra in Italia un migrante in piú o uno in meno? Se – orrore – vedi un negro in piú per le strade? Fa così brutto? E se c’è lui, se lui è entrato, tu d’improvviso ti ritrovi ad avere meno diritti? Paghi meno tasse? La pressione fiscale che ti costringe a non fare lo scontrino ti darà finalmente tregua, se quel barcone non entra in porto? La speranza di avere un contratto di lavoro come si deve aumenta? Finalmente potrai aspirare al lavoro per cui hai studiato, senza scendere ad umilianti compromessi? A fine mese ci arrivi meglio? I tuoi figli avranno davvero un futuro più roseo, se vedi un musulmano in meno che prega per la strada? 

Forse è arrivato il momento di guardarci tutti negli occhi ed essere onesti con noi stessi, ammettendo quello che, in fondo, già sappiamo: che si tratta solo di una densa cortina di fumo, pura distrazione di massa, ma che ci intrattiene perché ci prendiamo gusto a fare il tifo. Forse è arrivato il momento di dircelo: 629 migranti non entreranno in Italia, ma la nostra vita fa ancora schifo.

Tutti a scannarci su chi é molto umano o meno umano ma, dopo l’ennesima discussione su Facebook, tocca fare come loro e ritornare a capo chino a chiudere le valigie.

Perché l’unico modo di trovare un lavoro dignitoso, e magari mettere su famiglia ed essere felici, sembra essere quello di emigrare di nuovo.
Ero tornato in Italia, ora vivo in Francia.

Il caso Le Monde Diplomatique. Giornalismo di qualità, fiducia dei lettori, conti in attivo: “dalla difensiva, alla conquista”

Il giornalismo di qualità premia? Forse sì. Si intitola “Chiamare un vittoria col suo nome” l’articolo in cui lo storico mensile di inchieste geopolitiche, Le Monde Diplomatique, annuncia di essere in attivo e in buona salute. Alla faccia della crisi, scoppiata drammatica otto anni fa.

Tutto questo grazie alla fiducia dei suoi lettori, non alla pubblicità, i cui introiti sono circa l’1% del totale. Ripeto: l’1% del totale.

Dal 2009, si legge nel pezzo, sono arrivate donazioni per oltre 1milione e mezzo di euro, gli abbonati sono cresciuti passando da 83mila nel dicembre 2015 agli attuali 94mila. La diffusione totale del mensile è stata, in media, di circa 157mila esemplari nel 2016 contro le 153mila copie nel 2015. Segno positivo ovunque.

Il rilancio passa anche per il digitale: le incredibili risorse d’archivio contano ora 35mila abbonati (erano 21mila alla fine del 2015), “coscienti che l’attualità mondiale non si riduce alle ultime tre dispute settimanali”.

Il buon stato di salute dei conti ha portato il direttore Serge Halimi a chiedere l’interruzione delle donazioni, venuto meno il carattere d’urgenza. Dalla sopravvivenza, l’obiettivo ora diventa l’espansione. “Dalla difensiva alla conquista”. Essere convintamente di sinistra non è mai stato un ostacolo, anzi.

© monde-diplomatique.fr

Sembra ieri quando, nel 2009, veniva lanciato l’appello ai lettori contro il “ciclone” economico che aveva devastato la redazione, al fine di salvare un giornalismo d’inchiesta in un periodo in cui proliferano “pagine del meteo, rubriche di consumo e copia-e-incolla” d’agenzia squalificanti.

Acquisti in edicola più regolari, abbonamenti, buoni regalo,  eventi, adesione all’associazione: queste le vie suggerite ai lettori per tornare a vedere la luce in fondo al tunnel – assieme ad contributo pubblico che permetteva di dedurre il 66% delle donazioni al giornale dalla dichiarazione dei redditi.

Oggi le cifre dicono che il giro d’affari è cresciuto del +10% rispetto al 2016, in parte grazie alla pubblicazione del Manuale di Economia Critica, ma soprattutto grazie ad un +16.7% del numero degli abbonamenti.

Lieti, a quanto pare, di finanziare dell’ottimo “giornalismo di interesse”, in grado di “consacrare due pagine ai minatori dello Zambia, alla marina cinese o alla società lettone”.

Due milioni di lettori, Le Monde Diplomatique è stato fondato nel 1954 da Hubert Beuve-Méry e conta 37 edizioni in 20 lingue. Dal 1996 è di proprietà per il 51% di Le Monde (contro cui non ha esitato a scagliarsi in passato). Il 49% delle quote sono di proprietà dei lettori, degli stessi giornalisti e lavoratori del mensile.

Il fatto che il crowdfunding di Valigia Blu, in Italia, stia andando bene, è un’altra splendida notizia in quest’ottica.

La lista di siti per imparare a programmare se sei un giornalista

“To know what to ask is already to know half.”

Excerpt From: Paul Bradshaw. “Scraping for Journalists.” iBooks.

Ecco un utile elenco, a cura di Lisa Williams, stilato per tutti i giornalisti lì fuori, anglofoni e non. I siti e i corsi nella lista sono per la maggior parte gratuiti e permettono di addentrarsi nel mondo del codice “da zero”, senza avere particolari basi di programmazione. Il sito è costantemente aggiornato, scrive l’autrice che in 12 settimane – un’ora al giorno almeno – ha imparato un’arte utile per la vita e per il lavoro.

Buon divertimento!