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Argentina – Dieci cose divertenti che non farò mai più

Visto che ormai sono passate due settimane dalla mia venuta in quel di Buenos Aires, sono ormai irrimediabilmente impacciato, ho perso l’abitudine a scrivere e non so assolutamente da dove iniziare a parlare di questo luogo assurdo.

Facciamo che parto dalle dieci cose che ho fatto finora e tornando indietro non rifarei più, sperando rendano un poco l’idea di cosa sia l’Argentina oggi, 2012: dieci anni e passa dopo la bancarotta e due settimane dopo il mio arrivo.

(a seguire, tanta tanta roba sul Sudamerica, su Cristina, il Mercosur, i sospetti cancri ai presidenti, gli yankees, le pampas, il tango,  i fianchi sinuosi e sensuali, il caldo e i campesinos etc. Ma per ora meglio limitarsi alla superficie)

 

 Dieci cose divertenti che non farò mai più (omaggiare il buon DFW dopo il disastro Costa Concordia mi pare il minimo)

1. Partire pensando che tanto basta aggiungere una -S alla fine delle parole per parlare uno spagnolo de puta madre: Pieraccioni, come è ben noto, mentiva sapendo di mentire. Partire quando si è arrivati solo al capitolo sul verbo essere della grammatica spagnola può non essere un’idea saggia.

2. Partire senza prima essere diventato un fumatore compulsivo (cosa che, tra l’altro, si addice a ogni giornalista che si rispetti): un pacchetto di sigarette qui costa poco più di un euro. Più che al complotto tumorale yankee, sono propenso a credere che i vari Hugo Chavez, Fernando Lugo, Luiz Inacio Lula da Silva, Cristina Fernández de Kirchner (d’ora in poi, per divertimento, KFC) abbiano avuto problemi di cellule impazzite solo per via di un vizietto poco costoso.

3. Farsi prendere dalla frenesia della fiorentina a basso costo: se è vero che una bistecca al supermercato costa meno di una lampadina, e che parimenti convenga mangiarsi un quarto di bue al ristorante piuttosto che ordinare una Coca Cola, a lungo andare il portafogli inizia a sanguinare per quella che chiamo euforia da gotta. Un’empanada di pollo qui (1€), un’empanada di carne lì (1€), e in men che non si dica hai sviluppato una dipendenza incurabile da spuntino.

4. Chiedere al tuo coinquilino come funziona qui la raccolta differenziata, dove buttare l’umido, la plastica, la carta, il rosso e il verde. Notare un risolino di compatimento sulle labbra del coinquilino.. Ebbene, si butta tutto ai piedi dell’albero davanti casa. In men che non si dica, si presenta un cartonero a aprire i sacchetti di spazzatura e separare i vari rifiuti, raccogliendoli metodicamente e ordinandoli nel suo carrellino. La differenziata più efficiente qui la fanno i poveri, a mano. Una volta che il carrello è pieno di cartoni, questi vanno a riscuotere. Semplice e immediato. Buttando un torsolo di mela hai la senzazione vividissima di stare facendo girare l’economia. Per davvero.

5. Girare con un Iphone in tasca come un deficiente per due giorni chiedendo alle persone: ‘Mi scusi, dove posso trovare una SIM per il mio costosissimo Iphone?’. Ho rischiato la vita: avere una trappola per gonzi addosso non è davvero consigliabile. Steve Jobs non ha ancora (o quasi) colonizzato le pampas. Si torna al caro vecchio Nokia da pochi pesos. E, credetemi, è una liberazione.

6 Esprimere la propria simpatia per il Boca e per Leo Messi ad un tassista ciccione maradoniano di fede River. Come per magia, il tragitto aeroporto-casa si fa più costoso e sorgono piccoli problemi di comunicazione. A molti argentini non va’ giù che Messi sia una fava con la maglia della nazionale. Poi in taxi la tensione passa al primo sedere svestito scorto per strada: gli uomini tornano a sentirsi tutti parte di una stessa famiglia e l’armonia cosmica è finalmente ristabilita.

7. Arrivare impreparati alla esplosione ormonale estiva. E altro non aggiungo.

8. Chiedere indicazioni per la strada infilando nella conversazione il fatto che sei italiano. Gli argentini amano parlare. Un sacco. Se poi hanno un nonno italiano (e una buona metà ce l’ha), è finita. Qualcuno però ti prende in simpatia, e ti fa un peso di sconto in memoria dei vecchi tempi.

9. Pensare che, in fin dei conti, siamo tutti latini/italiani/intenditori-del-buon-cibo. No. Il caffè fa schifo. Lo batte solo l’olio, seguito a ruota dall’aceto balsamico. Se vi recate in Argentina e decidete di non nutrirvi solo di empanadas, passate prima dalla nonna a farvi dare una boccia d’olio. Progressivamente, nella vostra dieta il caffè verrà sostituito dall’erba mate, una sorta di thè per cui la gente qui va pazza (e la cui assunzione comunitaria è regolata da una vera e propria etichetta); la pasta verrà sostituita da chilate di riso bianco; l’olio e l’aceto da amari pianti di sconforto.

10. Fare il bullo su quanto in fondo sia sicura Bs As per poi avventurarsi nel bel mezzo della notte lungo un’avenida deserta e piena di brutti ceffi che ti chiedono se hai da accendere. Alla prima sillaba capiscono che sei straniero. Alla seconda fanno un cenno ai bravi più avanti. Al terzo passo – dopo che hai risposto soddisfatto del tuo perfetto (?) accento porteño – ti ritrovi tre gaglioffi davanti che ti intimano di consegnare tutto quello che hai. In tasca, due dita (?) a fingere un coltello mai (?) esistito. Io, per fortuna, in tasca avevo due spiccioli e quattro bottoni.
Almeno questo l’ho imparato.

[audio:https://ilmonella.com/wp-content/uploads/2012/01/charlando1.mp3|titles=charlando in buenos aires]

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