La cultura sottopagata
Il rilancio del paese passa dalla modifica all’articolo 18? Chissà. Di sicuro, prima o poi dovrà passare da uno spostamento di priorità (e capitali) verso la modifica del sistema-cultura, che attualmente – dal museo al centro di ricerca – si arrabatta, si arrangia, langue, arriva a sera e spera di svegliarsi l’indomani.
Scrive proprio oggi il direttore della Casa della Cultura di Milano che “questa crisi sta mettendo in discussione le ambiguità di un paradigma che deve essere ripensato, “per superare le ambiguità del modello manageriale e individualista e incorporare gli stimoli e i valori di una nuova tensione umanistica.”
Un nuovo umanesimo, quindi. Pensare in grande, pensare al domani, liberandoci finalmente di quella condizione che ci affligge ormai da troppo, che qui si chiama miopia e che gli inglesi chiamano short-term thinking. Non più contentini una tantum, paghette settimanali clientelari.
Come fa notare questo ottimo articolo di Andrea Dusio,”le città che più hanno finanziato la cultura, a livello europeo, sono quasi sempre grandi centri industriali decaduti negli ultimi 15-25 anni, dalla siderurgia di Bilbao al tessile di Manchester fino all’automotive di Torino.”
Centri in cui c’era “un’urgenza di riconversione ed un’emergenza occupazionale.” Insomma, la cultura può risultare la scommessa vincente quando rappresenta una via d’uscita forzata, soprattutto per quelle metropoli (ma pensiamo al nostro paese, più in generale) che in passato non si erano mai preoccupate di essere “attrattive” (quanto è bella l’Italia, già lo sappiamo).
Se davvero sono i paesi più colpiti dalla crisi, come la Spagna (al Prado si sono raggiunti i 3 milioni di visitatori) o la Grecia (+10% nel settore del turismo culturale rispetto al 2010), quelli che più riempiono i musei, forse la vale la pena approfittarne il più presto possibile.
Leggi l’articolo di Le Figaro a cui questo commento si riferisce sul sito del Fatto Quotidiano.
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