Toglietemi tutto, ma non il mio mate
Articolo originariamente pubblicato su PangeaNews e, in versione radiofonica, andato in onda su Radio Fujiko.
Si dice che si capisca davvero cosa sia l’inflazione quando si arriva alla pompa di benzina o quando ci si siede al bancone di un bar, sorseggiando una buona tazza di caffè che, d’improvviso, viene a costare più del giorno prima. In Argentina, il corrispettivo del caffè è la popolarissima erba mate e se, dopo i combustibili e l’elettronica importata, anche il suo prezzo inizia ad aumentare, allora c’è da temere un’insurrezione.
I prezzi della yerba – con cui gli argentini preparano più volte al giorno la loro infusione preferita – sono aumentati nelle ultime settimane anche del 100%. E quando mercoledì il quotidiano economico Ambito Financiero ha rivelato che il mate costa meno sugli scaffali di Madrid o di Parigi, si è sfiorato il grottesco, soprattutto, perchè negli scaffali argentini il mate è cominciato a calare, fino a sparire del tutto ed essere sostituito da cartelli, spesso strappati da vecchiette indignate, con su la scritta: «Massimo 1 kg di mate a persona» o addirittura «Non c’è mate».
Ma com’è possibile che l’Argentina, primo produttore di yerba mate, davanti a Paraguay e Brasile, con una produzione annuale di 300.000 tonnellate l’anno, quasi tutte per destinate al consumo interno; si risvegli all’improvviso senza ciò che non hai pensato potesse venirle a mancare? I colpevoli, sono una concomitanza di fattori, di cui il principale è la disputa sulle tariffe, che ha portato alcuni produttori a tenere in magazzino le scorte di mate, in attesa che i prezzi si alzassero, così come i loro margini di guadagno.
Come accade con molti prodotti, è lo Stato a fissare il prezzo di produzione. I sussidi aiutano a mantenere artificialmente basso il costo di un bene o di un servizio, che si tratti di energia elettrica o carne. Quando lo scorso marzo i produttori di mate delle provincie di Misiones e Corrientes, da dove arriva la yerba, sono scesi in piazza per chiedere che venissero modificati i prezzi – da troppo tempo ancorati al basso rispetto al levitare dell’inflazione – il ministro dell’agricoltura Norberto Yauhar ha concesso un innalzamento dell’89% del costo della foglia verde (da 90centesimi a 1,70pesos al chilo) e del 109% (da 3,30 a 6,90pesos al chilo) per l’erba canchada, ovvero quella già seccata.
Secondo i piani, l’aumento – una boccata d’ossigeno soprattutto per i piccoli produttori – avrebbe avuto conseguenze per il consumatore solo a partire dal prossimo anno. Qualcosa però è andato storto. I prezzi hanno iniziato a schizzare fin da subito, e dalla segreteria di Commercio, il potentissimo Guillermo Moreno – eminenza grigia kirchnerista dietro la regolazione dell’import-export, ovvero colui che avrebbe dovuto approvare le nuove tariffe – non le ha mandate a dire a quelli del ministero dell’agricoltura. Mentre la Presidenta minacciava di bloccare le esportazioni e iniziare ad importare yerba dagli stati vicini, se i prezzi si fossero mantenuti tali, Moreno si riuniva con i tre colossi nazionali del mate stabilendo un prezzo medio del prodotto finito di 10,50pesos (16-18 pesos sullo scaffale).
E’ ovviamente nell’interesse dello stato che il mate non aumenti senza controllo, visto che la yerba figura fra i prodotti del paniere familiare presi come campione per calcolare il tasso di inflazione ufficiale (a sua volta utilizzato per rinegoziare gli aumenti salariali). I piccoli produttori hanno gridato al complotto fra stato e grandi gruppi industriali, volto a minare l’accordo favorevole precedentemente raggiunto col ministero dell’agricoltura.
A complicare le già tese relazioni fra Buenos Aires e le province del nord, l’esistenza di un’ ipotetica nota, circolata presso l’Instituto Nacional de la Yerba Mate (INYM), in cui si informava i produttori che i nuovi prezzi accordati dal ministro dell’agricoltura Yauhar avrebbero incluso l’IVA. Uno scandalo, giacché tradizionalmente in Argentina non si paga l’IVA sulle materie prime. Temendo di vedere i propri guadagni ulteriormente ridotti di un altro 21%, i piccoli produttori hanno minacciato blocchi stradali e il boicottaggio del prodotto.
L’allarme è rientrato quando dal governo hanno fatto sapere che quella dell’IVA era stata un’indiscrezione priva di ogni fondamento. I consumatori sono stati invitati a denunciare “le speculazioni politiche” di quelle aziende che rincarano i prezzi oltre i 16/18pesos consentiti e Yauhar ha promesso che il tutto si normalizzerà a partire dalla prossima settimana.
I fantasmi dell’iper-inflazione sono stati momentaneamente scacciati, forse. La lotta del paese contro le sue stesse contraddizioni strutturali, tuttavia, è ancora ben lungi dall’esser vinta.
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