Esclusivo set fotografico from Troxy, East London, del primo concerto londinese dei Beady Eye, la nuova band di Liam Gallagher dopo la traumatica separazione dal fratello Noel.
Il titolo dell’album, ‘Different Gear, Still Speeding’, la dice tutta. E, a detta degli esperti che erano con me al concerto…erano anni che non si vedeva un Liam così in forma. Nonostante quella punta di velata malinconia per non avere accanto a sè il chitarrista giusto…
La band di supporto era quella di Miles Kane, proprio per la cronaca – ex frontman dei Rascals.

Il diagramma e’ la rappresentazione grafica della cultura alcolica londinese. Come si chiamano i pub? Quali i nomi piu’ diffusi? Grazie a Wordle e a John Coats di Pubstops.co.uk, ora possiamo farcene un’idea in maniera pressoche’ immediata.
Prince of Wales sembra essere il nome piu’ diffuso. Per parte mia, invece, consiglio il minuscolo pub Wenlock Arms nel quale ho bevuto ieri sera. Con il buon Eugenio Montesano, autore dell’articolo e mio padre spirituale quando si tratta di Real Ales.
I prossimi concerti a Londra – come scovarli, i siti in cui guardare, le migliori venues: tutto questo nell’ultima puntata di London Talking di Febbraio!

Guida in italiano per tutti coloro desiderino provare l’esperienza – chi per noia, chi per puro spirito di avventura, chi per necessità.
Disponibile sul sito della Advisory Service for Squatters, l’unica associazione di volontari legalmente riconosciuta a Londra – sede ad Aldgate East, nel cortiletto interno della Whitechapel Gallery.

(la qualita’ e’ un po’ precaria, ci scusiamo per il disagio)
Gli squatters del movimento Really Free School manifestano in maniera pacifica mentre i poliziotti cambiano i lucchetti della casa di Guy Ritchie, venerdi 18 Febbraio 2011. Poco prima, in piazza risuonavano le note di Sympathy for the Devil e Hey Jude, i pianoforte a coda del regista faceva da colonna sonora allo sfratto.
Semplicemente fantastico. Love was in the air.

Risponde Massimo Gramellini, sul sito della Stampa:
Scrive Elena: «Dieci anni fa, assieme al mio allora fidanzato, partii per Londra. Solo per un anno, per prendere un master e tornare a casa. A Torino. E invece no. Una borsa di studio vinta per caso mi convinse a restare per un dottorato che in Italia mai avrei potuto nemmeno sognare. Dieci anni dopo il master ce l’ho, il dottorato non ancora (fare ricerca a certi livelli e lavorare a tempo pieno è un po’ dura). Ho anche un marito: inglese. meraviglioso. Ma non mi basta. Voglio tornare. Che me ne faccio del bello stipendio che ho qui (3000 euro), se poi lo pago con la costante malinconia? Mi manca la mia famiglia. Le piazze. I portici, le voci, le Alpi, tutto. Anche i truzzi mi mancano!!! Meglio degli hoodies inglesi. Mio marito non ha un lavoro, potrebbe seguirmi. A Torino forse guadagnerei solo mille euro al mese. Ma adesso, per come sto male, mi sembrerebbe di aver vinto alla lotteria. Che strano, solo una lettera, la I che in inglese significa Io, fa la differenza tra Torno e Torino… Aiutami a riflettere, per favore». Elena cara, d’accordo le Alpi, le piazze, i portici (aggiungerei la cioccolata calda in tazza e i panini dolci con peperone e acciuga). Ma abbiamo il morale sotto i tacchi e pure la morale non sta molto più su. Declino, corruzione e precarietà sono miasmi che respiri anche lì, ma qui in aggiunta c’è una struttura sociale che deprime i talenti ed esprime una classe politica incapace a tutto. Le conclusioni mi sembrano ovvie. Il primo volo Londra-Torino parte alle 6,55: vieni a darci la sveglia tu.
L’editor del sito per cui faccio del pigro, saltuario lavoro da freelance, thefirstpint.co.uk, mi ha commissionato qualche giorno fa un reportage fotografico sui bookshops del centro di Londra che vendono libri in lingua straniera. The First Pint è una sorta di Timeout Magazine che si rivolge a giovani ‘internazionali’ capitati a Londra dalle varie parti del mondo. Un servizio sulle librerie in cui poter ritrovare la lingua amica rientra quindi nello spirito First Pint.
Armato di macchina fotografica, ho seguito questo itinerario

dimenticandomi clamorosamente, tuttavia, del Guanghwa Bookshop.
Falle a parte, questo e’ il risultato. Se mai un giorno veniste a Londra e doveste sentire nostalgia di casa, la cosa migliore e’ ritrovarsi in una stradina sconosciuta vicino a Leicester Square, aprire la porta di ingresso, salutare la gentile proprietaria che da quasi vent’anni traffica di cultura e comprarsi un buon libro. Rigorosamente in italiano.
LE LIBRERIE:
European Bookshop
5 Warwick Street W1B 5LU
Tube: Oxford Circus
Grant & Cutler
55-57 Great Marlborough Street W1V 2AY
Tube: Oxford Circus
JP-Books
Dorland House
14-20 Regent Street SW1Y 4PH
Tube: Piccadilly
Guanghwa Bookshop
7 Newport Place WC2H 7JR
Tube: Leicester Square
Italian Bookshop
5 Cecil Court WC2N 4EZ
Tube: Leicester Square
Books in Russian
23 Goodge Street W1T 2PL
Tube: Goodge Street

Martin Rowson e’ il cartoonista del Guardian, dell’Independent e di un’altra decina di pubblicazioni anglosassoni. Nel 2010 ha ottenuto il premio Political Cartoonist of the Year, mentre dalle nostre parti lo conosciamo gia’ come vincitore del XXXIV Premio Satira Politica Forte dei Marmi. Di recente, ha riscosso universali consensi per i suoi ultimi attacchi al vetriolo contro il Governo Lib-Con inglese. In particolare, e’ celebre la sua caricatura del Deputy PM Nick Clegg come Pinocchio, per via di quella famosa promessa elettorale (disattesa) di cancellare le tasse universitarie. Come risultato, triplicheranno fino ad un tetto di £9,000.
Rowson mi accoglie nella sua casetta fronte-parco sulla collina di Lewisham, a sud di Londra. Il suo studio, atelier dell’artista ma anche oscuro rifugio del misantropo, riflette le qualita’ dell’uomo: tutto intorno e’ il caos, domato dalla quotidiana disciplina dell’irriverenza.

Satirista impudente e inveterato, descrive i suoi cartoon come una sorta di “gargoyles che si appollaiano in cima alla pagina e ne abbassano il tono, facendo facce stupide”. Sono anni, infatti, che Martin si alza al mattino alle nove e fino alle sei del pomeriggio si dedica con cura amanuense a quei due-tre cartoon al giorno che finiranno sulle pagine del Guardian, di Time Out magazine, dell’Independent, di Tribune Magazine e cosi’ via. “Rendono la pagina piu’ interessante,” mi confida dopo avermi offerto una tazza di the nero e aver allontanato il suo piccolo cane cieco che da parecchi minuti non smette di abbaiare. “Puoi avere un articolo che parla della necessita’ di monitorare l’azione di governo, descrivendo nei minimi dettagli dove questo sbaglia nelle sue politiche, e sopra di esso l’immagine del Primo Ministro che si caca nei pantaloni. Entrambi, l’articolo e il cartoon, dicono la stessa cosa in modi diversi.
Una gran confusione regna dovunque nel suo studio, come ci aspetta da un artista. Pennelli usati, tubetti di tempera, matite ed enormi fogli pieni di schizzi, disegni finiti e caricature abbozzate. L’altra faccia di Martin Rowson pero’ si palesa quando per errore inciampo nel tappeto e ne piego un angolo col piede: con calma, ma con risolutezza, si avvicina e ne sistema il bordo, ripristinandone l’originaria perfezione.
Rowson va raramente a correre nella assolata collina verde di fronte a casa sua. Preferisce, da buon inglese, la pinta al pub. Nei pomeriggi di sole, i raggi luminosi invadono l’attico buio al terzo piano di casa sua. Mentre mi parla, mi colpisce il contrasto fra tutta quella luce e il buio che fino a poco prima regnava nello studio. Penso che tutto questo e’ a suo modo metaforico: se vogliamo, il suo ruolo per la societa’ e’ paragonabile a quello del raggio di sole, a rischiarare con instancabile costanza gli angoli oscuri. “La satira,” mi spiega, “e’ sempre stata una sorta di valvola di sfogo per la società. Senza di essa, saremmo come una pentola a pressione destinata ad esplodere. Pensa alla Rivoluzione Francese…” Rowson e’ coltissimo, nonostante sia orfano e autodidatta… “C’e’ questa storia bellissima sull’ambasciatore francese a Londra che manda un messaggio a Parigi e racconta di quello che gli è capitato di vedere camminando per lo Strand. Una selva di bancarelle e chioschetti in cui si potevano reperire le più scioccanti immagini sulla famiglia reale, vignette sul re che commette adulterio, sulla sua pazzia, fumetti del sovrano mentre defeca e così via. E così l’ambasciatore ha pensato che l’intero paese fosse sull’orlo di una rivoluzione. Come poi la storia ha dimostrato, si sbagliava di grosso: era la Francia, in realtà con le sua rigida censura e la selva di pubblicazioni clandestine, la vera pentola a pressione. Che poi, da lì a poco, sarebbe esplosa.”