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La vergogna del corrispondente che non può essere taciuta

— UPDATE. Ho chiesto a Ezio Mauro via Twitter (dove avviene la conversazione ora, con la speranza di ricevere risposta che altrimenti non riceverei via email) cosa ne pensa della questione. Vedremo se dovrò finire pure io a contare i giorni. Domani si prova con la mail.

ezio mauro twitter

 

Una volta io e un mio collega e amico – badate, scrivo questo pezzo sull’onda dell’indignazione – chiamammo Repubblica per proporre un signor articolo con foto originali da Londra. Ci risposero che il pezzo era bello, avrebbero voluto comprarcelo, ma purtroppo c’era già un corrispondente da Londra e non potevano accettarlo.

Grazie lo stesso. 

In parole povere, nell’epoca del giornalismo 2.0, del real-time, delle redazioni in crisi, di budgets avvizziti come datteri del deserto e tagli ai costi, si preferisce continuare a pagare il lussuoso loft di Franceschini con vista parco (ogni mese, ogni giorno dell’anno, per anni, a Londra, non in Mali, dannazione), anzichè affidarsi a giornalisti freelance (scuola di giornalismo inglese, badate bene) dal costo di qualche decina di euro a pezzo.

In parole povere, nell’epoca del tutti-hanno-uno-smartphone-e-fanno-notizia, se mi dovesse capitare di vedere la Regina Madre che dal mondo dei morti ritorna, scendendo dal cielo fra lingue di fuoco e portata a braccia da angeli cherubini… devo trattenere il mio dito, non usare il mio cellulare, non chiamare Repubblica, aspettare che arrivi Franceschini con la macchina dei ghostbuster e faccia lui il pezzo.

Nel frattempo, il mondo  è andato avanti.

Qui sotto, ciò per cui paga Repubblica, migliaia di sterline al mese. Prima regola del giornalismo: la storia si compra se è buona, non se chi la produce è parte del sistema. 

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Tratto dal blog di Mantellini:

Il pezzo di Repubblica di oggi del corrispondente da Londra Enrico Franceschini messo proditoriamente accanto ad un articolo di uscito sull’Observer di sabato (miei commenti in corsivo):

Small, volcanic, with a proud Viking heritage and run by an openly gay prime minister, Iceland is now considering becoming the first democracy in the western world to try to ban online pornography

È il paese dei geyser, dei vulcani, dei vichinghi. È anche il Paese più egualitario del mondo nei rapporti tra uomini e donne, uno dei più liberi sessualmente, l’unico del pianeta con un primo ministro apertamente lesbica. Ma ora l’Islanda sembra sul punto di diventare conosciuta anche per un’altra ragione. Potrebbe essere l’unico stato del globo “porn free”, senza pornografia su Internet.

 

A nationwide consultation has found wide support for the move from police and lawyers working in the field of sexual violence, along with health and education professionals, according to Halla Gunnarsdóttir, adviser to the interior minister Ögmundur Jónasson. Ministers are now looking at the results. “We are a progressive, liberal society when it comes to nudity, to sexual relations, so our approach is not anti-sex but anti-violence.

 

Dopo che una consultazione nazionale ha dato un responso largamente positivo, il governo di Reykjavik ha avviato un’indagine per decidere come si potrebbe imporre un divieto d’accesso ai siti porno su tutta l’isola. “Siamo una società liberale e progressista in materia di nudità e di rapporti sessuali”, dice Halla Gunnarsdottir, consigliere del ministero degli Interni, che sta seguendo il progetto. “Il nostro approccio al problema non è anti-sesso, bensì anti-violenza.

 

(qui Franceschini un po’ si confonde e traduce “sexual violence” con “siti porno”, non una buona traduzione ma utile alla causa)

…e  così via, per tutto il pezzo, fino alla fine. 

Continua a leggere sul sito di @mante. Grazie, grazie. 

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