Skip to content

Rischiare la vita per una pacca sulla spalla – e spesso neanche quella.

Leggo questo pezzo segnalatomi da @gianlucamezzo e mi commuovo.
Mi commuovo per Francesca Borri, corrispondente di guerra, freelance. Mi commuovo per lei, e per tutti i paria di una professione ingrata, che si prendono le pallottole sulle ginocchia al fronte per sentirsi dire “va bene, lo pubblico, ma non a nome tuo. A nome del mio corrispondente con contratto regolare.”

Che, fra le righe, equivale a un bel: “hai rischiato la vita per $70, ma da direttore di un sito d’informazione, non sono capace di attribuire a questo tuo sacrificio un valore maggiore di una galleria fotografica della Marcuzzi in topless – soprattutto agli occhi del mio pubblico.”

 “La mia giovinezza, per quel che vale, è svanita quando dei pezzi di cervello sono schizzati su di me in Bosnia. Avevo 23 anni.”

“La crisi oggi è una crisi dei media, non del pubblico. Il pubblico è sempre lì, al contrario di quanto molti caporedattori credano: sono lettori intelligenti che chiedono semplicità senza semplificazione. Vogliono capire, non sapere semplicemente sapere. Ogni volta che pubblico un racconto di prima mano sulla guerra, ricevo dozzine di email da gente che mi dice “Okay, bel pezzo, bella descrizione, ma voglio capire cosa succede in Siria.” E quanto sarei felice di rispondere che non posso semplicemente mandare un pezzo di analisi, perchè gli editors lo casserebbero, dicendomi: ‘Chi pensi di essere, ragazzina?’ nonostante abbia tre lauree, abbia scritto due libri, e trascorso 10 anni in varie zone di guerra, prima come responsabile nel settore dei diritti umani, quindi ora come giornalista.”  

Freelancers are second-class journalists—even if there are only freelancers here, in Syria, because this is a dirty war, a war of the last century; it’s trench warfare between rebels and loyalists who are so close that they scream at each other while they shoot each other. The first time on the frontline, you can’t believe it, with these bayonets you have seen only in history books. Today’s wars are drone wars, but here they fight meter by meter, street by street, and it’s fucking scary. Yet the editors back in Italy treat you like a kid; you get a front-page photo, and they say you were just lucky, in the right place at the right time. You get an exclusive story, like the one I wrote last September on Aleppo’s old city, a UNESCO World Heritage site, burning as the rebels and Syrian army battled for control. I was the first foreign reporter to enter, and the editors say: “How can I justify that my staff writer wasn’t able to enter and you were?” I got this email from an editor about that story: “I’ll buy it, but I will publish it under my staff writer’s name.”

 

Previous article

A lezione di assunzione (e, coincidentalmente, rinnovamento).

Next article

Sullo sfogo di Francesca Borri

Join the discussion

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.