Il presepe vivente di Sutera: ricotta fresca, cultura e pastori
Nel bel mezzo della brulla e aspra Sicilia, fra colline verdi come campi irlandesi, mandorli in fiori e severi panorami rocciosi, si erge dal nulla una rocca. Elegante.
Sul picco del monte, un santuario domina quello che la gente di qui chiama ‘lu vallone’: un crocevia di saliscendi dove, nei secoli, si sono scontrate e amalgamate le culture greca, romana, bizantina, normanna e musulmana.
Aggrappato sornione ai fianchi della rocca dalla tipica forma di panettone, quasi avvolgendo in un abbraccio la montagna, sta Sutera, l’unico paese siciliano bandiera arancione del Touring Club per l’autenticità dei suoi antichi quartieri.
Ogni anno, di questi tempi, la magnifica borgata araba del Rabato si veste a festa con il pastrano logoro e sgualcito tipico del mezzadro del vallone: è l’abito contadino, è l’abito del presepe vivente di Sutera.
Un museo della memoria a cielo aperto
Giunto ormai alla quindicesima edizione, il presepe vivente permette ai circa 15.000 visitatori annuali del paese (che conta appena 1.500 anime) di viaggiare nella memoria per rivivere gli odori, i sapori e la cultura contadina e pastorale del ‘900, quella dei nonni dalla faccia scavata dal tempo, eredi di un passato glorioso e decaduto.
Per due settimane l’anno, tra Natale e l’Epifania, tutta Sutera è impegnata nella messa in scena di uno dei più caratteristici presepi d’Italia, animato dalle voci dei pecorai (picurara), cantastorie, viddani, falignami, tissitrici e commercianti (putiari).
Un idillio bucolico, cristallizzatosi nel tempo a ogni crocicchio.
Partecipare al presepe vivente di Sutera vuol dire arrampicarsi fra i muri bianchi e scalcinati di un quartiere magico e fermarsi a degustare ricotta fresca o pani cunzatu (pane caldo, olio e sale) offerta dalle mani gentili degli anziani; indugiare fra delizie povere come la minestra di ceci o il maccu (piatto contadino a base di fave e verdure), fermandosi a conversare con i suteresi in costume tipico che ne spiegano preparazione e ritualità; sentirsi raccontare come, appena sessant’anni fa, le sedie si facevano ancora filando e intrecciando il lino a mano; le ceramiche rotte venivano riparate dal consapiatti col fil di ferro e l’argilla per fare le tegole del tetto si impastava e si cuoceva in casa.
Gli scoscesi pendii di Sutera in estate si trasformano in circuito per la consueta gara di ‘carrozzoni’, l’altro grande momento forte di comunione civica – se escludiamo le festività e le processioni religiose.
Continua a leggere e guardare la galleria fotografica delle mie foto sul sito di Oggiviaggi e prossimamente su Milocca – Milena Libera.
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