Capitalismo – still ‘a love story’?
E se la salvezza del capitalismo passasse dalla becera molla del profitto?
E’ triste pensare come forse l’ultima dimensione rimasta all’homo contemporaneus per la scoperta e la meraviglia sia quella dell’ isolamento. Lontani da ogni strumento dotato di connettività – solitamente porta d’ingresso alle nostre vite per il mondo – possiamo tornare a leggere un buon libro, e riflettere. Come mi è successo a mille mila metri dal suolo, sul volo Barcellona-Londra, dove per grazia di dio, Internet non esiste (le maiuscole, in questo caso, definiscono gerarchie); lì, ho potuto finalmente concentrarmi sull’ultimo libro di Federico Rampini, decano della corrispondenza estera.
Occidente Estremo è dedicato all’analisi socio-economica dei fattori di decadenza dell’impero americano e della contemporanea, invadente ascesa della Cina sul palcoscenico mondiale. Riflettendo sul modello capitalistico, Rampini cita il saggio Consumati. Da cittadini a clienti di Benjamin Barber, scenziato della politica e della economia, già autore nel 1995 di Guerra Santa contro McMondo.
Uno dei temi centrali di consumati è la regressione allo stadio infantile verso cui il capitalismo moderno spinge i consumatori. […] Il (suo) lato oscuro ha a che vedere con lo sfruttamento dell’ingenuità infantile. Nella sfera economica si assiste da tempo a una banalizzazione, un’infantilizzazione dei consumi, un instupidimento delle merci e anche dei prodotti culturali per far sì che siano appetibili agli adolescenti o ai bambini. […] <<Dalle sue origini, il capitalsimo occidentale ha avuto la capacità di soddisfare reali bisogni di massa, e quindi aveva un’utilità sociale, che si conciliava con l’arricchimento privato e l’accumulo del capitale in mano alla borghesia industriale. Inoltre l’etica protestante della gratificazione differita esaltava la virtù del risparmio e questo favoriva l’investimento. Per quattrocento anni questo sistema ha funzionato così bene da sfociare in una situazione, dopo la Seconda guerra mondiale, in cui gran parte del ceto medio nei Paesi sviluppati aveva ormai soddisfatto tutti i suoi bisogni. Di fronte al rischio di una crisi della crescita il capitalismo ha operato una conversione: si è messo a produrre bisogni ancora prima di beni. Quello fu l’inizio dell’era del sovra-consumo, l’inaugurazione del nuovo ethos infantilista>>. A partire da quel momento, scatta l’infantilizzazione del consumatore. Coniando un neologismo, Barber la definisce la trasformazione di un adulto in un ‘adultescente’. <<Il capitalismo contemporaneo esalta lo spendere anzichè il risparmiare, il vendere anzichè l’investire. L’idea di servire la società è sostituita dall’edonismo, la centralità del piacere, il servire sè stesso. Adolescenti e bambini diventano l’archetipo, il modello del consumatore ideale perchè sono impulsivi, non riflettono a lungo prima di comprare
Il capitalismo moderno sarebbe, stando a Barber, la combinazione fra questi due elementi: l’invenzione di bisogni e l’infantilizzazione della società adulta.
Quale la via d’uscita? La versione di sinistra, militante del consumismo moderno, impersonata da quei movimenti che si propongono di cambiare il mondo operando sulle scelte di consumo (ie Slow Food, Fairtrade, Equo&Solidale)? Barber, e con lui Rampini – che non finirò mai di ringraziare – contestano anche questo.
E’ una favola per bambini, una favola a lieto fine, l’idea che si cambia il mondo attraverso il consumo privato. […] La ricetta di Barber è paradossale, ritornare al capitalismo delle origini: <<Il vero paradosso è che viviamo in un mondo dove chi ha il denaro non ha più dei bisogni reali, mentre chi ha ancora enormi bisogni insoddisfatti non ha potere d’acquisto. Dobbiamo costringere il capitalismo alla sua vocazione primaria: soddisfare i bisogni materiali dove ci sono. E’ qui che c’è spazio per una nuova crescita, più sana e più equa. Non è l’illusione di un capitalismo altruista, bensì l’uso della molla del profitto al servizio delle domande più urgenti per l’umanità.
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