What a piece of work is man! how noble in reason! how infinite in faculty!
Twitter non finisce mai di stupire. Cercate l’hashtag #shakespeare4murdoch per vedere cosa succede quando l’umano ingegno associa il buon vecchio Shakespeare a Rupert Murdoch (O villain! / O the pernicious caitiff!)
Nei giorni in cui il re si mostra improvvisamente nudo, nessuno meglio di James Alan Anslow – 30 anni spesi traSun e News of the World, un figlio appena licenziato dal red toppiù letto al mondo – può sapere cosa vuol dire essere giornalista alla corte dell’impero di Rupert Murdoch.
Mentre la barca del più prestigioso quotidiano britannico affondava sotto i colpi di un’inchiesta – quella sulle cosiddette “intercettazioni” telefoniche, che di giorno in giorno si arricchisce di particolari inquietanti – i 200 giornalisti che vi lavoravano “sono stati tutti sacrificati per salvare qualche testa, e per assicurarsi la buona riuscita di una scalata finanziaria.”
James Alan Anslow è una vecchia volpe del mestiere, uno di quelli che consumava suole di scarpa a caccia di storie quando ancora il tempio della stampa inglese era la gloriosa Fleet Street. Uno di quelli che è riuscito a conservarsi umile, tornando all’università per studiare giornalismo (prima) e insegnarlo (poi) nonostante trent’anni di onorata carriera e l’essere arrivato, nel 1994, a ricoprire il ruolo di responsabile editoriale del quotidiano in inglese più venduto al mondo.
“Nessuno si aspettava una simile tempesta a News International”, spiega James mentre sorseggia un cappuccino affossato tra i divani di un caffè londinese. Si riferisce all’allargamento dello scandalo agli altri quotidiani della famiglia Murdoch, il Times e il Sun: “Come vedi, i giornali muoiono in questo paese. Non riceviamo finanziamenti pubblici, quindi non possiamo fare altro che vendere copie: la pressione su noi giornalisti per trovare sempre nuove storie è enorme”
James ha tutte le caratteristiche del perfetto giornalista inglese: due dita di pelo sullo stomaco e dotato di un sottile sense of humor, è riservato e allo stesso tempo cinico. Non ha rimorsi di sorta per nessuna delle controverse storie pubblicate dal popolare Sun. “Solo una volta, in trent’anni di carriera, mi sono rifiutato di scrivere una didascalia. Siamo giornalisti, non divinità: non sta a noi avere più senso etico degli altri. Raccontiamo semplicemente delle storie.”
Per spiegarmi cosa sia successo al News of the World, lo storico domenicale del Sunappena chiuso dai Murdoch, James si alza e afferra una copia del tabloid: vuole illustrarmi cosa viva dietro ciascuna di quelle pagine.
E’ difficile emettere dei giudizi, in questo momento. Ma è bene SAPERE quello che è successo. Il ragazzo del video è il fidanzato di una mia amica. Non so cosa dire, ma penso sia mio dovere diffondere questa testimonianza.
Non so fare altro, purtroppo.
Un abbraccio
S., una cara amica, inoltra un messaggio da parte della fidanzata del ragazzo bendato, Fabiano.
Ciao a tutt@
Questa è la testimonianza di Fabiano su quanto gli è accaduto in Val di Susa. Tra poco a Torino ci sarà la conferenza stampa in ospedale per denunciare questo schifo.
Abbracci sparsi.
Testimonianza diretta di Fabiano Di Berardino, bolognese e attivista del TPO, ricoverato presso il reparto di Traumatologia dell’ospedale CTO di Torino, che racconta l’inaudita serie di violenze subite dalla Polizia all’interno del cantiere bunker della Maddalena, dopo essere stato fermato durante la manifestazione NO TAV del 3 luglio 2011 in Val di Susa.
“Mi hanno portato in uno stanzino dove mi hanno sputato addosso e picchiato ripetutamente e a turno con manganelli, calci e pugni. Mi hanno rotto il naso con un tubo di ferro e mi hanno spostato volontariamente sotto al sole, ferito e sanguinante per ore”.
Scandalo giornalistico nel paese dove il giornalismo ha la nomea di essere stato inventato.
Il pluripremiato reporter dell’Independent, Johann Hari, e’ stato colto con le mani nella marmellata. A quanto pare, in alcune sue interviste a celebrita’ e personaggi famosi avrebbe inserito alcune frasi pronunciate degli stessi intervistati… in passato, o altrimenti citazioni contenute in libri da essi pubblicati qualche anno prima e spacciate come parte dell’intervista originaria.
La storia ha a che fare con noi, in qualche modo, essendo il casus belli un articolo scritto proprio sull’italianissimo filosofo-terrorista Toni Negri.
Come questo blog dimostra, molte frasi attribuite a Antonio Negri sarebbero state in realta’ rubate dal libro-intervista “Negri on Negri” (2003), in cui Anne Dufourmentelle scava nelle pieghe piu’ recondite della personalita’ del grande vecchio.
La memoria... by HariLa memoria...di Dufourmentelle (pgs 100-101)
Stessa cosa accade per un’altra intervista, questa volta con Noam Chomsky, e con un’altra ancora a Gideon Levy, l’ “uomo piu’ odiato di Israele” (come si puo’ leggere in quest’altro blog).
La (fiacca) replica su Twitter da parte di Harakiri-Hari e’ stata la seguente
When interviewing a writer for a 6000-word profile, accurately quoting their writing is not “plagiarism” or “cut & paste journalism”
Poi il silenzio. In un post sul suo sito, Hari chiarifica che, per ogni scrittore intervistato, veniva quasi naturale l’attribuzione di idee o sentimenti da questo espressi in passato e aventi qualche genere di affinita’ con l’intervista.
Hari chiama le sue interviste ‘intellectual portraits’, ritratti intellettuali. Come un artista vero e proprio, infatti, si prendeva qualche licenza creativa.
Questa la sua difesa, tradotta in italiano.
Plagio? Il plagio e’ far passare il lavoro altrui come proprio, mentre io ho sempre messo in chiaro che i pensieri di Gideon Levy, per esempio, erano i pensieri di Gideon Levy. Sono anche piacevolmente sorpreso nello scoprire che alcune persone lo considerino “churnalism”, quando churnalism e’ in realta’ quella pratica di copiare, incollare e riciclare un comunicato stampa. Io, per parte mia, mi sono letto con accuratezza tutte le opere di un autore e ho scelto con attenzione quali parti di esse citare in determinati punti chiave del testo per meglio rendere la loro personalita’.
Come non dargli torto, direte voi?
I called round a few other interviewers for British newspapers and they said what I did was normal practice and they had done it themselves from time to time.
Questa e’ una delle ultime frasi ‘scottanti’ nella sua arringa difensiva:
il mio test per definire cosa e’ giornalismo e cosa no, e’ il seguente: i lettori ne sarebbero infastiditi, o al contrario lo preferirebbero? Meglio per loro se io citassi una qualche oscura frase che esprime un concetto o, al contrario, una brillante perla di saggezza recente che esprime lo stesso pensiero?
Il Periscope Post raccoglie una serie di reazioni alla futile querelle.
Fra queste, quella di Brian Whelan (gia’ citato) che sul suo blog argomenta che si, Hari cita parole di Gideon Levy, ma lo fa in maniera fraudolenta, con sottile malizia, come se lo scrittore effettivamente le abbia proferite durante il loro incontro in un bar scozzese, aggiungendo anche alcuni dettagli di colore per dare piu’ spessore alle citazioni, come “with a shake of the head”.
The Media Blog, riferisce sempre il Periscope Post, si dice d’accordo con Hari: qui le accuse di plagio e “churnalism” c’entrano poco. Qui la situazione ricorda una performance di Britney Spears, dove si assiste a del vero e proprio playback (“this is more like lip-synching“): Hari insomma presenta le sue interviste come ‘dal vivo’, dando l’impressione che tutto accada in simultanea. Un altro grande blog, Fleet Street Blues, ha invitato alla calma, scrivendo che se se Johann Hari vuole scrivere ritratti psicologici, allora dovrebbe darsi alla fiction.
….
Per tirare le somme, secondo me e secondo il buon Periscope Post, possiamo citare le parole di Emily Bell, direttore del Tow Center for Digital Journalism alla Columbia Journalism School:
“JHari and Gay Girl in Damascus reinforce first rule of journalism. Talk to people. In person. Or, if that’s impossible, explain context.”
[Il caso della Gay Girl di Damasco e’ abbastanza famoso, e riguarda quel blogger americano che dalla Scozia descriveva la sua vita fittizia da omosessuale in Siria. Dalla bocca di Amina Abdallah Arraf al-Omari – o meglio, di Tom MacMaster – pendevano acriticamente centinaia di migliaia di lettori e giornalisti…]
Dilemmi etici a parte, cio’ che restera’ di tutta questa polemica, ricordando gli esempi di giornalismo alla Belpietro o le interviste bufala a Philip Roth (e altri) di quel genio di Tommaso Debenedetti, saranno le esilarante reazioni degli utenti di Twitter.
I quali, per l’occasione, hanno dato sfogo a tutta la loro creativita’, dando mostra di cosa puo’ l’ingegno umano in 140 caratteri sull’hashtag #InterviewsByHari
Rilancio un post di Inkiostro, forse il miglior blog musicale d’Italia, che a sua volta riprende un altro post di Giornalettismo, realta’ emergente del giornalismo online nostrano.
Molte sono cose note, ma di queste ultime vicende non ne ho letto molto in giro: i nodi del Movimento 5 stelle dei grillini e i suoi macroscopici problemi di democrazia interna e rapporto col loro capopopolo stanno venendo al pettine. Bella ricostruzione su Giornalettismo.
Un articolo interessante. Ma siamo sicuri che tutto questo non poteva essere detto in 2/3 pagine, invece che in 10?
L’attention span medio va riducendosi, il cervello dell’internauta si riduce a livelli da primate e io sono gia’ stanco di scrivere dopo poche righe. Il messaggio viene colto da tutti, ma solo i pochi eroi che riescono ad arrivare in fondo sapranno poi argomentare il problema ad una cena tra amici, intorno ad un tavolo e dopo qualche abbondante bicchiere di vino.
Ed e’ cosi’ che si forma la vera coscienza civica italiana: con la matriciana, annaffiata da un buon rosso.
Dopo la trionfale serata alla Metropolitan University di Londra, a cui hanno partecipato tra gli altri anche Stefano Citati (redattore capo degli esteri) e John Prideaux, autore del reportage dell’Economist‘The man who screwed an entire country’, pure l’Independent pubblica un piccolo omaggio a Marco Travaglio e al giornale che lui stesso ha co-fondato ispirandosi (?) al quotidiano inglese. Con la grafica del Sun, purtroppo.
Across the world, if you are a politician and you get routed in two consecutive rounds of elections, you’ve got only yourself to blame – or indeed, the opposition for having done their job properly.
Silvio Berlusconi, on the other hand, held the media responsible when acknowledging his defeat in last month’s local elections. To be precise, he had just a two journalists in mind – one of them Marco Travaglio, who has been Berlusconi’s nightmare for more than a decade.
In September 2009, Travaglio founded a paper free from party political bias (ring a bell?) to better express his views against the Italian establishment. This week, he made a visit in London to take part in the debate entitled ‘Italians are better than their Prime Minister,’ which was organised jointly by London MET and Travaglio’s newspaper Il Fatto Quotidiano (‘The Daily fact’).
Travaglio’s journalistic career first kicked off with the help of late Indro Montanelli, former director of Il Giornale, a paper owned by Berlusconi’s family. Montanelli, revered as the father of Italian modern journalism, eventually resigned from Il Giornale in 1994, the year Berlusconi entered politics leaving his entrepreneurial career behind. Despite being a well-know right-winger, Montanelli justified his decision of leaving the paper’s direction by saying that he “did not feel like having the vocation of a servant.”
Di una cosa eravamo certi: il governo Berlusconi non e’ esattamente il preferito di lavoratori precari, disoccupati, pastori sardi o metalmeccanici di Mirafiori.
Oggi pero’ scopriamo (scopriamo?) che pure i nababbi ‘ostrica e lampone’ hanno di che lamentarsi.
La fauna di tamarri in yacth e crocifisso d’oro che affolla i locali notturni della Milano da bere, le discoteche di Porto Rotondo o le eslcusivissime piste bianche a Cortina d’Ampezzo diminuisce in numero e sostanza.
Il Guardian se ne esce nella sezione finanziaria con una articolo dal titolo ‘As if the crash never happened: world’s richest grow even richer’. Viene citato uno studio di Merrill Lynch e Capgemini, secondo cui i ricchi nel mondo, nonostante la crisi, continuano ad arricchirsi sempre piu’. Un incremento del 10%, se vogliamo essere precisi: gli zii paperone (tutti coloro che hanno a disposizione almeno un milione di dollari cash) dispongono di una ricchezza totale di $42,7 trilioni, in crescita rispetto al 2007 pre-bancarotta ($40,7 trilioni appena).
Tanti altri numeri noiosi, che potete vedere qui sotto…
Nella splendida immagine qui sopra, che mostra il Guardian di oggi alla pagina 31 e un pezzo di scrivania, l'infografica fa intuire con sufficiente chiarezza dove i ricchi nel mondo si vadano estinguendo. Copyright: Guardian Ltd, sperando non mi denuncino.
Ovunque nel mondo i ricchi crescono, meno che da noi. Perfino in Africa. Tutte le freccette puntano al cielo, mentre l’unica che punta dritta verso il basso si riferisce all’Italia. Quei 170,000 ricconi nostrani perdono pezzi, e le loro fila si assottigliano in numero. Meno 4,7% nel 2010.
I ricchi scompaiono, e il Governo che fa? Confindustria lancia allarmi, come sbrodolano i quotidiani, e il Governo che fa?
O tempora o mores. Se scompaiono pure i ricchi, gli unici che ancora sorridevano in Italia, la tristezza finira’ per spadroneggiare nel paese. Proprio quello che il disfattismo rosso auspica ormai da tempo (almeno dal ’94).
Speriamo che il partito dell’Amore faccia qualcosa al piu’ presto. Altrimenti i celti si incazzano.
Fa strano mettere piede in un accampamento gipsy e non vedere facce di etnia rom in giro. A Dale Farm, nell’Essex – forse il più grosso accampamento zingaro del Regno Unito – la maggior parte delle 96 famiglie è di origine irlandese: cattolici devoti, tutti capelli rossi e lentiggini.
In fondo, è come se in Italia ci fosse un campo nomadi composto per lo più da Svizzeri o Austriaci, se ci pensate.
Attivo dagli anni ’60, una buona metà del campo si è sviluppata abusivamente nel corso dell’ultimo decennio. L’interno delle roulottes, popolato da icone di santi e madonne, croci e rosari, è lindo da fare paura. All’esterno, mobili e divani bucati sono ammonticchiati gli uni su gli altri, tra filo spinato e rifiuti.
Le quasi mille persone che vi risiedono aspettano da un momento all’altro una notifica di sfratto da parte del vicino comune di Basildon: da allora, avranno solo 28 giorni di tempo per trovare un’altra sistemazione.
Come si intuisce visitando l’accampamento, i residenti hanno tuttavia intenzione di lottare, e di restare. “We won’t go” recita il cartello posto all’entrata di Dale Farm, a metà fra un fortilizio e una discarica. Tutt’intorno, i bambini giocano fra le pozzanghere e i copertoni di automobile, divertendosi a rincorrere i cani e a farsi fotografare nelle pose più creative.
Cattolici irlandesi o rom, i travellers nel Regno Unito sono all’incirca 300.000. Un’accezione, quella di “viaggiatori”, che nasconde un certo romanticismo di fondo. “Nonostante abitiamo qui da anni, abbiamo fissa dimora e una famiglia numerosa, ci sentiamo ancora nomadi,” confessa Shannon, 50 anni, di cui 9 vissuti a Dale Farm.