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L’età pensionabile dovrebbe essere trent’anni.

Quanto mi ci identifico, di questi tempi.

Spectating has become a full-time job in and of itself— looking at other people’s LinkedIn pages, their Facebook page, their Wikipedia page— and now we judge ourselves too often by what we haven’t done, instead of what we have.

And so by age 30, if we haven’t done X, Y or Z, we’re left unfilled. There seems like there’s so much life out to be lived, and we’re called to it… whatever ‘it’ is.

[…]

Now, it’s almost assumed that whatever it is that you’re doing, you must love it. Otherwise you wouldn’t be answering email at midnight and sleeping with your phone in your bed.

So as you get older, and have spent years plugged into this matrix where everything is work work work— where your mind is never able to turn off— you age a lot. Maybe not in physical years, like in the sense that you’re 60. But you’re 30 and you’ve somehow managed to squeeze double the amount of work into that period of time.

You’re old. Mentally.

[…]

So being unsettled and wanting more out of life is not a millennial problem or a hipster problem or a ‘whatever new word marketers are using to describe young people’ problem. It’s really a problem of being ‘plugged in’ all the time, and never being given the freedom to shut off.

Because society has a problem with leisure. The idea of sitting around doesn’t sound sexy. Winners never quit. Go hard or go home. Always be closing. Or some shit like that.

Whatever.

You need a break. Just retire. Then start on something new. You may fail. But ultimately you’ll thank yourself later

 

Grazie a Paul Cantor, Medium. 

Riportiamo Devis a Casa

Devis era un mio amico.
Devis aveva 33 anni.
Devis è morto martedì.

Nel 2008 si era trasferito da Chiampo, paese in provincia di Vicenza, a Londra, città che lo ha adottato come pizzaiolo e dove da allora viveva.

Da qualche settimana lamentava perdite di memoria, dislessia, raccontava di essersi perso in zone che conosceva molto bene e diceva di percepire il mondo in modo diverso. Domenica 20 Ottobre, a causa di forte mal di testa lo abbiamo accompagnato al Royal London Hospital dove è stato ricoverato. In una settimana, dopo essere stato posto in coma farmacologico e aver subito un’operazione, e’ stata dichiarata la morte cerebrale. Il tumore era troppo aggressivo e non è stato possibile operare o intervenire in alcun modo.

La sua famiglia ha deciso di donare i suoi organi, salvando così la vita di almeno altre 5 persone.

Ora i familiari si trovano a dover fronteggiare i costi per riportare Devis a casa in Italia, per non avere il figlio sepolto a migliaia di chilometri di distanza. I costi sono ingenti, almeno 1800 sterline, senza calcolare i costi successivi di funerale e sepoltura.

Aiutateci ad aiutarli. Qualsiasi donazione, anche anonima, può fare la differenza.

Si può donare tramite PayPal o, per tutti coloro senza un account paypal, anche via carta di credito o trasferimento bancario.

Come? Se finite su Paypal, vedrete l’immagine di tutte le carte con scritto Don’t have a PayPal account? Use your credit card or bank account (where available). Continue

UPDATE
Londra, sabato 2 novembre, ore 18,36 

CE L’ABBIAMO FATTA. MA E’ SOLO L’INIZIO! 

A poco più di un giorno dal lancio dell’appello per le donazioni, abbiamo già superato la quota prefissata. Grazie all’aiuto di tutti voi, Devis potrà finalmente riposare vicino ai propri cari.

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Ci sono ancora cinque giorni di tempo per donare. Molte persone ci hanno scritto dicendoci che il loro contributo deve ancora arrivare: il passaparola per questa buona causa continua, travolgente, e non si ferma certo ora che il primo obiettivo è stato raggiunto.
Vediamo dove arriviamo, ormai non ci poniamo più alcun limite: chissà che non riusciamo, tutti assieme, a coprire anche i costi del funerale in Italia.

GRAZIE A TUTTI, SIETE SPLENDIDI. 

Questo me l’ha inviato un grande amico, ed è proprio quello che ci voleva stamattina.

Ha la barba lunga di settimane, lui che di solito non la lascia crescere nemmeno un millimetro più del dovuto, lui che ti accoglie in piedi dopo una chemio perché non gli piace farsi vedere debole, lui che quando i medici dicono “gli rimangono dieci, forse venti giorni” nessuno riesce a crederci davvero.

“Devi farti la barba”, gli dico. I suoi genitori mi hanno chiesto di convincerlo: secondo loro si sentirebbe meglio, e conoscendolo lo credo anch’io.

“È davvero l’ultimo dei miei pensieri”, mi risponde, cercando di non avere un tono duro. È un patto solamente tra noi due, un patto di cui non abbiamo mai parlato ma in vigore da settimane: io continuo a fare lo spiritoso come se questa non fosse l’ultima stanza dove ci vedremo. Se poi incontro un momento sbagliato, lui non me lo fa pesare.

“Non è per te, è per la clinica”, insisto. “Dice che stanno fioccando recensioni negative su Tripadvisor…”

Gli strappo un sorriso, che grazie alla complicità di Filippo si trasforma quasi in una risata. Poche persone al mondo sono preziose quanto Filippo, soprattutto in questo momento: è lui a gestire chi entra e chi esce, a interpretare i piccoli segnali di insofferenza di suo fratello quando una visita si protrae troppo a lungo o semplicemente quando un collega di lavoro ci sta annoiando da ore, dopo aver portato una scatola di cioccolatini che Federico non può mangiare.

Oggi possiamo entrare soltanto noi: il blocco intestinale si è aggravato. Federico ha chiesto di rimanere solo col medico, poi dopo un’ora ci ha fatti chiamare e ha detto: “da adesso non posso nemmeno bere. Stasera quindi ci facciamo un ultimo brindisi. Il dottore ha detto che è una cazzata, e me lo sconsiglia”.

“E quindi?”, ha domandato Filippo.

“E quindi il dottore se ne farà una ragione. Voglio bere un ultimo bicchiere con voi e questa cosa non è negoziabile”.

Continua a leggere qui.

Il Mozilla Festival a Londra

Questo weekend sarò al Mozilla Festival a Londra.

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Una serie di workshops in cui coders, designers, innovatori, giornalisti si trovano assieme e rilasciano creatività. Come si legge sul sito, ognuno potrà partecipare alla narrazione del festival anche attraverso questo blocco note pubblico su cui fare brainstorming durante i seminari e i laboratori. Ne trovate uno proprio qui sotto.

Ovviamente, tra un seminario e l’altro twitterò. Il mio liveblog italiano (oltre a quello in inglese sulla home del festival) è il posto in cui potrete trovare più approfondimento, interviste al volo che mi capita di effettuare col cellulare, i progetti più interessanti e il risultato dei workshops e seminari, in tempo reale. Su Twitter, invece, pensieri estemporanei e tanto networking.

Per chiunque non riesca a pasare di qui, questi i canali ufficiali del festival:

Homepage di MozFest: liveblog ufficiale con ScribbleLive.
Twitter: #MozFest @MozillaFestival
Blog: mozillafestival.org/blog
Tumblr: mozillawebmaker.tumblr.com
Flickr: photos taggate #MozFest

Finito il tutto, vi dirò cosa è stato il MozFest per me. Mi aspetto grandi cose.

Stay tuned. 

Cosa è successo oggi, spiegato ad una canadese.

La mia capa canadese, un po’ perplessa, mi ha chiesto cosa diavolo è successo in senato, oggi. Le ho risposto così.

Basically Berlusconi threatened to bring down the government, the PM saw his bluff, he called for a vote of no-confidence, Berlusconi folded. In the meantime, all markets panicked and we lost billions.

Just another ordinary day in Italian politics.

L’altra faccia dei media Spagna: Neupic, newswire fotografico #realtime

Uno degli incontri giornalisticamente (e umanamente) più interessanti di questa mia piccola gira spagnola è sicuramente l’agenzia fotografica di citizen journalism Neupic, conosciuta oggi a Madrid.

Seguendo un po’ le orme di Demotix, creatura inglese del poliglotta visionario Turi Munthe, due fratelli madrileni – Bosco e Alfonso Ussía – e alcuni collaboratori hanno messo assieme una piattaforma che permette a oltre un migliaio di fotografi freelance di tutto il mondo di caricare le proprie fotografie e venderle ai media interessati in tempo reale.

Gli sviluppatori hanno creato una app estremamente facile da utilizzare: il fotografo carica la foto, i media che hanno accesso alla piattaforma possono vedere in tempo reale quali foto vengono caricate, relativamente a quale argomento, da quale parte del mondo, in quale momento… e ovviamente comprarle ‘al volo’. Tutto normale finora, se per normale intendiamo una tecnologia che mette al centro semplicità di utilizzo, rapidità di esecuzione e design.
Cosa mi ha impressionato di Neupic?

La velocità (#realtime) La feria di San Fermin, a Pamplona, é stato il primo grande test per la neonata start-up di foto-giornalismo. Un test duro, in un luogo dove già sgomitavano i fotografi delle principali agenzie del mondo (EFE, Reuters, AP etc.), inzuppati di vino. Un sacco di competizione, la folla e la difficoltà di essere ancora sobri di prima mattina. L’encierro, poi, è una questione di pochi minuti. Quest’anno, nello specifico, si è verificato dalle 8 della mattina alle 8,04. Battere sul tempo la concorrenza, quasi impossibile. “Alle 8,05, El Mundo, uno dei nostri clienti, già pubblicava  le prime foto in esclusiva a tutta pagina, sulla home,” ha spiegato Bosco Ussía. “Erano foto Neupic. Gli altri fotografi sono arrivati almeno mezz’ora dopo.” “Alcuni sono andati a fare colazione, prima di inviare il materiale,” scherza il fratello. “Da quel momento in poi, i fotografi di agenzie più rinomate hanno iniziato a interessarsi a noi…” fino al contratto di collaborazione con EFE, il principale provider del mercato spagnolo.

– La formula on-demandI media che collaborano con Neupic hanno la possibilità di richiedere reportage o materiale a seconda dell’esigenza, con un semplice bottoncino dell’app. Lo staff di Neupic, altrettanto semplicemente, invia una richiesta a tutti i freelance sul campo per vedere chi fra questi è in grado di provvedere. “La redazione vuole fare un reportage sulla situazione dei cristiani in Siria? Nessun problema. In pochi minuti i freelance sono avvertiti.”

– Il pagamento. Avviene secondo una formula 50-50%, il giorno successivo. Alcuni servizi simili pagano solamente quando ricevono il denaro dai media (a 60-90 o addirittura 180 giorni, a volte). Neupic, a detta dei fondatori, paga immediatamente.

– La sicurezza nei propri mezzi. Mentre la crisi continua a falcidiare i media tradizionali in Spagna, Neupic esulta: “più tagliano professionalità internamente, più in futuro avranno bisogno di noi: start-ups in grado di fornire contenuto di qualità in tempo reale, oltre ad un accesso esclusivo a storie in tutto il mondo,” dice Alfonso Ussía. Non ho avuto nulla da obiettare.

– L’apertura mentale. La disponibilità a collaborare con altre start-ups, come quella per la quale lavoro, per aprire nuovi canali, nuove vie di condivisione di materiale di qualità in tempo reale, nuovi mercati. O anche solo la disponibilità ad ascoltare, senza cellulari in mano, senza essere distratti da nulla.

Solo i curiosi sopravviveranno a questo gioco spietato chiamato “industria dell’informazione.” Meglio ancora se sapranno essere rapidi, genuini e professionali.

Sulle #scuoledigiornalismo

In merito al dibattito in corso sulle assunzioni RAI:

Chiarisco un poco meglio il mio pensiero, che Twitter mi sta davvero troppo stretto: sì alle #scuoledigiornalismo, no alle corsie preferenziali. Una scuola è per definizione un luogo di studio, conoscenza di nuove tecniche e aggiornamento (umano e) professionale: da lì escono capre e principesse, geni fottuti e persone mediocri. Come da tutte le scuole.

Sono stato fortunato. Ho fatto un master all’estero, in Inghilterra. Ho avuto la fortuna di avere dei genitori che hanno potuto e voluto investire nel mio futuro.

Ora giro molte redazioni italiane insegnando ai giornalisti come fare (parte) del proprio mestiere: utilizzare strumenti messi loro a disposizione dagli editor (parlando di fondi ‘innovazione e svuiluppo’) per fare giornalismo online multimediale, e farlo bene.

Mi è anche capitato di parlarne con delle classi di studenti e giornalisti ben più maturi di varie #scuoledigiornalismo, non solo italiane – non sono tesserato, mi va benissimo così.

Il mio master all’estero vale carta straccia nel nostro paese perchè non riconosciuto dall’Ordine dei Giornalisti al fine di ottenere un tesserino da giornalista professionista. Il quale, a sua volta, al giorno d’oggi ha il medesimo valore in Italia: carta straccia.

Insomma, tutto bene se la #scuoladigiornalismo si limitasse a creare professionalità, e basta: da qui in poi dovrebbe essere il mercato a selezionare i migliori in maniera estremamente darwiniana.

Un po’ meno, se chi parte da una #scuoladigiornalismo italiana deve dimostrare qualcosina in meno rispetto a tutti coloro che hanno scelto di andare a formarsi altrove.

Milano si sente discriminata rispetto a Perugia.

Gli italiani emigrati sorridono con amarezza. La fuga di cervelli continua.

Il nuovo giornalismo sportivo: cambio di modello e disintermediazione.

Come scritto nel bellissimo articolo di Poynter citato nel liveblog (e qui traduco a braccio), “una delle più grandi sfide che i media si trovano ad affrontare oggi è quella di capire il perchè del successo passato, e replicarlo in nuove modalità. In generale, il giornalista (e il ‘giornale’ per cui lavora) si vedono come ambasciatori esclusivi della notizia, difensori della democrazia – cosa assolutamente vera, nei casi in cui rimane ancora un briciolo di etica dietro il lavoro quotidiano. 

Ma non è stata questa irreprensibile missione civica che li ha resi pilastri insostituibili delle comunità per decenni. Hanno avuto tale status privilegiato grazie al monopolio sulla stampa – in particolar modo, grazie al monopolio nella diffusione delle notizie con il giusto tempismo.

Nell’era pre-digitale, coloro che volevano fare sapere che c’era uno sconto sui divani al negozio dietro l’angolo, una buona offerta di alimentari, o la programmazione serale di un film, mettevano un’inserzione pubblicitaria in un quotidiano. Questa pubblicità finanziava il giornalismo, ma l’accordo tacito era quello di una reciproca cecità: i giornalisti si concentravano sui propri articoli e ignoravano la pubblicità, e viceversa.

Lo sport è sempre stato un caso a parte. Le squadre volevano che i giornalisti le coprissero, quotidianamente. Un altro patto tacito: i giornali garantivano l’accesso ai lettori, mentre le squadre sportive ricevevano in cambio pubblicità gratuita e potenziali clienti. Questo patto ha retto anche quando il giornalismo sportivo si è trovato a dar conto di casi di doping, cattive gestioni finanziarie, illeciti sportivi e truffe – tutte notizie che ovviamente squadre e atleti avrebbero preferito non essere rivelate.

Ma ora questo accordo è definitivamente compromesso. Tutti possono pubblicare qualsiasi cosa, e con tutti si intende proprio ‘tutti’. Le squadre, le leghe professionisti, organizzazioni, atleti, agenti e raccattapalle. Tutti coloro che una volta parlavano per bocca dei giornali, insomma. Il risultato è che le regole del gioco sono cambiate.

….

Continua a leggere qui: ieri ne abbiamo parlato con un mio collega di ScribbleLive, coinvolgendo il social media editor di Sky Sports UK e Thomas Klein, uno dei più importanti giornalisti ed educatori di nuovi media della ARD (la RAI tedesca). Ecco qui come è andata.