Il nuovo giornalismo sportivo: cambio di modello e disintermediazione.
Come scritto nel bellissimo articolo di Poynter citato nel liveblog (e qui traduco a braccio), “una delle più grandi sfide che i media si trovano ad affrontare oggi è quella di capire il perchè del successo passato, e replicarlo in nuove modalità. In generale, il giornalista (e il ‘giornale’ per cui lavora) si vedono come ambasciatori esclusivi della notizia, difensori della democrazia – cosa assolutamente vera, nei casi in cui rimane ancora un briciolo di etica dietro il lavoro quotidiano.
Ma non è stata questa irreprensibile missione civica che li ha resi pilastri insostituibili delle comunità per decenni. Hanno avuto tale status privilegiato grazie al monopolio sulla stampa – in particolar modo, grazie al monopolio nella diffusione delle notizie con il giusto tempismo.
Lo sport è sempre stato un caso a parte. Le squadre volevano che i giornalisti le coprissero, quotidianamente. Un altro patto tacito: i giornali garantivano l’accesso ai lettori, mentre le squadre sportive ricevevano in cambio pubblicità gratuita e potenziali clienti. Questo patto ha retto anche quando il giornalismo sportivo si è trovato a dar conto di casi di doping, cattive gestioni finanziarie, illeciti sportivi e truffe – tutte notizie che ovviamente squadre e atleti avrebbero preferito non essere rivelate.
Ma ora questo accordo è definitivamente compromesso. Tutti possono pubblicare qualsiasi cosa, e con tutti si intende proprio ‘tutti’. Le squadre, le leghe professionisti, organizzazioni, atleti, agenti e raccattapalle. Tutti coloro che una volta parlavano per bocca dei giornali, insomma. Il risultato è che le regole del gioco sono cambiate.
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Continua a leggere qui: ieri ne abbiamo parlato con un mio collega di ScribbleLive, coinvolgendo il social media editor di Sky Sports UK e Thomas Klein, uno dei più importanti giornalisti ed educatori di nuovi media della ARD (la RAI tedesca). Ecco qui come è andata.
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