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Sulle #scuoledigiornalismo

In merito al dibattito in corso sulle assunzioni RAI:

Chiarisco un poco meglio il mio pensiero, che Twitter mi sta davvero troppo stretto: sì alle #scuoledigiornalismo, no alle corsie preferenziali. Una scuola è per definizione un luogo di studio, conoscenza di nuove tecniche e aggiornamento (umano e) professionale: da lì escono capre e principesse, geni fottuti e persone mediocri. Come da tutte le scuole.

Sono stato fortunato. Ho fatto un master all’estero, in Inghilterra. Ho avuto la fortuna di avere dei genitori che hanno potuto e voluto investire nel mio futuro.

Ora giro molte redazioni italiane insegnando ai giornalisti come fare (parte) del proprio mestiere: utilizzare strumenti messi loro a disposizione dagli editor (parlando di fondi ‘innovazione e svuiluppo’) per fare giornalismo online multimediale, e farlo bene.

Mi è anche capitato di parlarne con delle classi di studenti e giornalisti ben più maturi di varie #scuoledigiornalismo, non solo italiane – non sono tesserato, mi va benissimo così.

Il mio master all’estero vale carta straccia nel nostro paese perchè non riconosciuto dall’Ordine dei Giornalisti al fine di ottenere un tesserino da giornalista professionista. Il quale, a sua volta, al giorno d’oggi ha il medesimo valore in Italia: carta straccia.

Insomma, tutto bene se la #scuoladigiornalismo si limitasse a creare professionalità, e basta: da qui in poi dovrebbe essere il mercato a selezionare i migliori in maniera estremamente darwiniana.

Un po’ meno, se chi parte da una #scuoladigiornalismo italiana deve dimostrare qualcosina in meno rispetto a tutti coloro che hanno scelto di andare a formarsi altrove.

Milano si sente discriminata rispetto a Perugia.

Gli italiani emigrati sorridono con amarezza. La fuga di cervelli continua.

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