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A caccia di onde sulla costa del Marocco

Si può combattere lo stress da ufficio e il grigio umore da catene antineve prenotando un volo low-cost per il Marocco. Una volta lì, la certezza è una: la macchina in affitto che servirà per trasportare delle tavole da surf su e giù per la costa. E un volo di ritorno, prenotato da Marrakech.

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Il programma, quello mai scritto, prevede rotta immediata verso la costa oceanica; villaggi hippies aggrappati agli scogli; surf e grigliate di pesce, improvvisazione e un budget assolutamente irrisorio.

 Credetemi: funziona.

L’arrivo – il turista.

Ricordatevi che, grazie ai passi avanti nell’industria dell’aviazione low-cost, Marrakech è alla portata del viaggiatore della domenica tanto quanto (anzi, più di) Canicattì. Una volta atterrati, due timbri sul passaporto e siete fuori, respirando già la salubre canicola del deserto che tanto avete sognato mentre eravate bloccati nelle trappolone del pendolarismo.

Prenotare una macchina presso una delle numerose compagnie rent-a-car che operano dall’aeroporto è del tutto affidabile (v. link in fondo), anche quelle il cui ufficio operativo è costituito dal cruscotto di un auto in cui siedono quattro teenagers marocchini che ascoltano lo stereo in occhiali da sole.

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Due scartoffie e via, siete liberi. Dirigersi verso la costa è semplice: c’è una strada dritta che parte dall’aeroporto e corre verso ovest.

Imboccatela e seguite il sole che tramonta.

Arrivare a Essaouira, la splendida medina che stregò l’Orson Welles di Otello, vi ripagherà di un paio d’ore di macchina a schivare pedoni, motociclette e animali da traino. Parcheggiate fuori dalle caratteristiche mura e introducetevi nei vicoletti di un mercato che smantella, proprio così, senza pensare: è cosa d’altri tempi, che vi farà battere all’unisono con questo paese che pulsa, e si addormenta alla sera solo per poter riaprire baracca il giorno dopo.

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Una camera doppia con bagno in comune in uno dei tanti riad (edifici tipici con fresco cortile interno) costa il corrispettivo di dieci euro a notte.

Da lì in poi è tutto in discesa: cena a base di tajine di pollo (il piatto tipico: cottura al vapore in un cono di ceramica su brace ardente) o cous cous di pesce (se pagate 60 DHR, ovvero poco più di 5€, è perché avete scritto in faccia ‘turista’); thè alla menta per digerire e brezza marina che accarezza la faccia. Consigliato il ristorantino Cafè au Tres Ports, sulla via principale della medina, se non volete azzardare subito la bancarella di strada.

Gli imponenti bastioni di Essaouira (skala de la ville) o i colori accesi del porto dove i pescatori sgusciano ricci di mare appena raccolti aspettano solo di essere fotografati appena sorge il sole.

Sulla costa – il surfista.

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Essaouira e la selvaggia Sidi Kaouki, appena più a sud, sono ventose e ideali per gli appassionati di kite surf. La strada che conduce verso Agadir si snoda lungo la costa e conduce verso paesaggi più brulli e onde più grandi, due cose che sembrano andare di pari passo in questa parte di mondo. A due ore in auto da Essaouira, prima di arrivare ad Agadir, passate varie casuzze di mattoni di fango, olivi essiccati dal vento e dromedari che li brucano. C’è un villaggio chiamato Amesnaz.

Il primo e unico bar che incontrerete, ovviamente senza nome, serve la migliore tajine di agnello agrodolce (con uvette e olive) mai provata;  come accompagnamento, i gestori del locale vi inviteranno a scendere al molo e comprare un paio di pesci ancora guizzanti, da fare alla brace al momento, così come viene.

Da lì in poi è un susseguirsi di surf spots, che sembrano messi lì da qualche cosmico benefattore in ordine crescente di difficoltà: si inizia con gli impegnativi Boiler e Anchors’ Point (entrerete in acqua da una fabbrica di ancore abbandonata), Ash Point e Panorama a Taghazout , per finire con Devil’s Rock e Banana Beach.

Taghazout è il perfetto palcoscenico per questo grande spettacolo antropologico che è il turismo internazionale di surfers e backpackers. Il villaggio intero vive di catenelle e magliette, negozi per l’affitto tavole e vasellina, baretti dove sorseggiare thè alla menta quando i muscoli sono stanchi o posticini in cui farsi un hamburger se la fame, quella vera, chiama dopo la surfata.

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Giovani di ogni nazionalità si mescolano a mercanti improvvisati, ristoratori o parcheggiatori, e ogni occasione è buona per concludere un affare, in questa parte povera di Marocco che sogna di rinascere con il turismo sportivo dei figli di papà occidentali. Affittare le tavole vuol dire anche trovare un posto in cui alloggiare, quando il gestore del surf shop fa un paio di telefonate e vi sistema molto spartanamente a casa dell’amico del figlio per qualcosa come cinque euro a notte (una turca, un materasso, quattro cuscini e delle coperte; e un tetto, già, anche un tetto).

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