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Tango, stop motion e peti fiammanti

Visto che tengo un blog su Linkiesta dal nome Lezioni di Tango, e visto che quando ho la macchina fotografica mi diletto di fotografia, peti, annessi e connessi, mi pareva bello iniziare la domenica mattina con questo video in stop motion in cui tango, fotografia e  peti fiammanti si fondono, splendidamente.

DJ Shadow – listen (feat. Terry Reid) from Franck Trebillac on Vimeo.

Tratto da DuckRabbit, Look and Learn – this is a magic use of photography.

 

Quando ti regalano un orologio, ti regalano un piccolo inferno fiorito

Pensa a questo: quando ti regalano un orologio, ti regalano un piccolo inferno fiorito, una catena di rose, una cella d’aria. Non ti danno soltanto l’orologio, tanti, tanti auguri e speriamo che duri perchè è di buona marca, svizzero con áncora di rubini;  non ti regalano soltanto questo minuscolo scalpellino che ti legherai al polso e che andrà a spasso con te. Ti regalano – non lo sanno, il terribile è che non lo sanno -, ti regalano un altro frammento fragile e precario di te stesso, qualcosa che è tuo ma che non è il tuo corpo, che devi legare al tuo corpo con il suo cinghino simile a un braccetto disperatamente aggrappato al tuo polso. Ti regalano la necessità di continuare a caricarlo tutti i giorni, l’obbligo di caricarlo se vuoi che continui a essere un orologio; ti regalano l’ossessione di controllare l’ora esatta nelle vetrine dei gioiellieri, alla radio, al telefono. Ti regalano la paura di perderlo, che te lo rubino, che ti cada per terra e che si rompa. Ti regalano la sua marca, e la certezza che è una marca migliore delle altre, ti regalano la tendenza a fare il confronto tra il tuo orologio e gli altri orologi. Non ti regalano un orologio, sei tu che sei regalato, sei il regalo per il compleanno del tuo orologio.

Brano: Preambolo alle istruzioni per caricare l’orologio, tratto da Storie di Cronopios e di Famas di Julio Cortázar.

Argentina: da cuori infranti a narcotrafficanti

Tre storie si incrociano in un carcere di Buenos Aires: tre persone rese ingenue dal sogno di un amore in cui avevano smesso di sperare, hanno fatto un favore che non dovevano fare: trasportare una valigia che si è scoperto essere piena di coca.

Un giorno, i partner virtuali di Sharon e Catherine, “Frank” e “Mark”, hanno finalmente chiesto alle due donne di incontrarsi di persona, ma non prima di aver domandato loro un ultimo favore: andare in Argentina per prendere alcuni documenti riservati. Le due donne hanno deciso di accettare, pensando che il loro sogno fosse finalmente diventato realtà. Tuttavia, i documenti, nascosti in un compartimento segreto dei loro bagagli, si sono rivelati essere quello che avrebbe immaginato chiunque, tranne qualcuno dopo molti anni, di nuovo e completamente innamorato: un carico di cocaina.È così che Sharon Mae Armstrong, 55, ex vicedirettore esecutivo della Commissione della lingua maori, e Catherine Blackhawk, 49, infermiera nordamericana, sono diventate all’improvviso, e inconsapevolmente, l’ultimo anello di una catena di narcotraffico.
Incredule, le due donne si sono trovate dietro le sbarre nella stessa prigione federale, nelle periferie di Buenos Aires, rispettivamente ad aprile e giugno 2011. Il loro caso testimonia come gli “appuntamenti truffa” – aumentati del 150% solo nel 2011, secondo quanto rivela Iovation, un’agenzia per la protezione dalle truffe – stiano andando ben oltre il semplice “prendi i soldi e scappa”.

«I cartelli (della droga, ndr.) cercano persone che chiaramente non hanno la capacità di capire davvero in che giro d’affari sono finite» dichiara a Pangea News Claudio Izaguirre, Presidente dell’Associazione argentina antidroga (Aara). «Persone come Sharon vengono buttate nella mischia con una valigia dove la cocaina è facilmente rintracciabile: lei è solo un’esca, un capro espiatorio. Le vere mule (così vengono chiamati da queste parti i corrieri che tafficano modeste quantità di droga personalmente) sono dietro di lei e cercano di passare quando l’attenzione si concentra sull’esca» aggiunge Izaguirre.

A gennaio, una terza persona è caduta nella stessa, per così dire, “cyber-trappola”, ed è stata presa all’aeroporto di Buenos Aires: si tratta di Paul Howard Frampton, 69, un noto professore di fisica e astronomia dell’università del North Carolina, Usa. Frampton ha dichiarato di essere stato attirato nella trappola con la prospettiva di incontrare una donna con la quale pensava di avere interagito su internet, una modella di biancheria intima di origine ceca, Denise Milani. Un uomo, che si è qualificato come intermediario della modella, gli ha dato un bagaglio da portare con sé nel suo viaggio: la valigia conteneva due chili di cocaina. Proprio come era successo per Sharon e Catherine, il professor Frampton era stato identificato come una persona vulnerabile e finanziariamente stabile.

Julieta Lacroze, avvocato di Sharon e socia dello studio legale Durrieu con sede a Buenos Aires, crede che i tre arrestati rappresentino solo la punta dell’iceberg, dall’altro lato però ammette come sia difficile capire esattamente il profilo delle potenziali vittime delle narco-truffe su internet. «Per un’organizzazione criminale è molto facile: devono solo sedersi e chattare – ritiene l’avvocato Lacroze – tre mesi di lavoro attraverso internet e il gioco è fatto. Per 5 chili di cocaina, è un affare piuttosto buono».

Primo caso: Sharon Mae Armstrong

sharon armstrong

Di solito, le truffe sugli appuntamenti on-line passano sotto silenzio a causa dell’imbarazzo o umiliazione che provano le vittime. Le inconsapevoli “mule” della droga agli arresti in Argentina sono ora alle prese con una battaglia portata avanti da dentro il carcere per cercare di chiarire la loro posizione, che prevede una pena fino a 4 anni e 10 mesi. In attesa del giudizio d’appello, Sharon Mae Armstrong racconta a Metro come è stata ingannata.

«Una cugina mi aveva aperto un account su un sito di appuntamenti on line. Erano vent’anni che non avevo una relazione ma non ero comunque molto interessata. Pochi giorni prima che scadesse l’iscrizione, sono stata contattata da quest’uomo che diceva di vivere nella stessa città dove mi ero appena trasferita per cercare un nuovo lavoro. In quel periodo, avevo scritto sul mio profilo qualcosa del tipo «mi sono trasferita in Australia» e «sto cercando un cambiamento». Ero in una posizione molto vulnerabile. Lui continuava a dire che ci saremmo sposati, era un grande parlatore. Avrei dovuto intuirlo. Ma questo non significa che non potevo essere vulnerabile. Anche io posso innamorarmi».

 

Secondo caso: Daiana Antivero

La modella argentina Daiana Antivero, 19 anni, è stata arrestata l’anno scorso con l’accusa di contrabbando di droga verso l’Europa. È stata rilasciata poco dopo ma l’episodio le è valso il soprannome di “Narco modella”.

D: Sei stata accusata di organizzare la logistica per una banda di narcotrafficanti con l’obbiettivo di inviare cocaina in Olanda. Da dove viene questa accusa?

R: È cominciato tutto da un favore che ho fatto al mio ex-ragazzo: mi aveva chiesto di fare una chiamata telefonica per prenotare un hotel per un uomo che non aveva mai visto prima. Era un possibile mulo della droga, ma io non lo sapevo.

D: Adesso il tuo ex-ragazzo è in prigione. Pensi che ti abbia usato e che facesse parte di un cartello?

R: Non penso. Credo che un trafficante di droga dovrebbe avere molti soldi. Lui aveva l’abitudine di girare per la città con i mezzi pubblici, un narco non si sposta così.

D: Ti piace che ti chiamino “narco-modella”? Ha aiutato in qualche modo la tua carriera?

R: Per niente. Il mio nome è un altro e nella vita faccio altre cose. Ho perso molto lavoro a causa di quello che è successo. Sono andata avanti, le persone che mi conoscono sanno che non ho fatto nulla.

D: Cosa pensi del caso di Sharon?

R: Si approfittano sempre delle persone deboli o ingenue. La mia esperienza mi ha aiutato molto, ora ci penso almeno cinque volte prima di fare un favore a qualcuno. L’ho fatto senza rendermene conto e il giorno dopo ero in prigione.

 

Come scavarsi la fossa da soli

Essere un cyber-truffatore dell’amore richiede un cervello oltraggiosamente creativo. Gli inquirenti ritengono che l’organizzazione che ha ingannato Sharon abbia usato i suoi stessi soldi per finanziare l’intera operazione: negli oltre quattro mesi della sua relazione virtuale con “Frank”, Sharon ha accettato di spedirgli 20mila pesos (3.400 euro circa) in diversi invii via Western Union.

«Aveva sempre una scusa differente», sottolinea il suo avvocato, Julieta Lacroze. «Chi in Argentina avrebbe mai accettato di inviare così tanto denaro a uno sconosciuto? Nessuno».
Le organizzazioni criminali di origine russa e nigeriana sono tristemente note agli esperti e alle agenzie antidroga di tutto il mondo. Siti internet come Romancescam.com si dedicano proprio a fare luce sul problema e aiutare le persone a riconoscere i malintenzionati prima che sia troppo tardi.

Sante parole dall’Amaca

Il codazzo di fotografi, cameramen e cronisti che fa da scorta a Nicole Minetti costituisce, in sé, una delle prove più schiaccianti della mancanza di dignità e di libertà del sistema mediatico così come ci illudiamo di gestirlo e così come lo stiamo subendo, per metà impotenti e per metà complici. Non c’è persona di buon senso, di qualunque orientamento ideologico e livello culturale, che non ritenga futile e dannoso dedicare tempo, tecnologia, parole e pensieri a una figuretta minore della nostra scena pubblica che è stata, a suo tempo, co-protagonista di uno scandalo di regime e oggi è protagonista di niente. Con la sola e spiegabile eccezione della stessa signorina Minetti, nessuno ha interesse a tenere acceso anche un solo riflettore su di lei. Se questo avviene è solo perché il potere (anzi: il dovere) di scegliere che cosa mostrare, di che cosa parlare è progressivamente venuto meno fino a scomparire dentro l’alibi – davvero ignobile – che bisogna “dare alla gente quello che vuole”: ma la gente legge e clicca ciò che le viene offerto, non altro. Non è la gente che fabbrica le notizie, sono i media. Anche il più scalcinato dei bancarellai ha facoltà di decidere quali merci esporre. I media sono gli unici commercianti che danno sempre al cliente la colpa della loro merce avariata.

Da La Repubblica del 07/09/2012, l’Amaca, Michele Serra.

Tratto da qui. E da Facebook. Grazie.

Colombia, Medellin: dall’incubo narco al sogno dello sviluppo

Città in fermento, perla turistica e centro degli affari, la città che debbe la sua fama e il suo martirio al narcotrafficante Pablo Escobar, oggi è irriconoscibile. La rivoluzione di 20 anni, raccontata dal sindaco che visse in prima linea la guerra con il crimine organizzato

 
 
Quasi vent’anni fa – era un caldo dicembre del 1993 – moriva il più famoso narcotrafficante del mondo, Pablo Escobar. Moriva fuggitivo, leggenda, sui tetti della sua città, Medellín, allora considerata la più pericolosa del mondo, la capitale della droga. Oggi, quando chiedo al giovane Julian — 25 anni e un lavoro come consulente per la cooperazione internazionale al municipio di Medellin — come si chiama il nuovo capo del cartello della città, non sa rispondermi. Alza le spalle, dubbioso. «Penso non ci sia più una banda grande come una volta. Sono tante e piccole, ora. Ce n’era una chiamata Los Urabeños però hanno appena arrestato i due capi. Di più non so».

Le cose sono cambiate. Come recita un noto spot turistico colombiano, a Medellín l’unico rischio è quello di voler restare per sempre. Immersi tra le sue verdi montagne, in un’eterna primavera tenacemente ritrovata. Oggi del sangue di Pablo Escobar sui tetti di Medellin rimane solo un celebre dipinto di Botero, esposto all’omonimo museo cittadino. E, ovviamente, l’ennesima, popolarissima serie televisiva. Nessun museo, nessun tour turistico, nessun monumento – e ci mancherebbe altro. Solo i racconti della gente, tra incanto e disincanto.

Abbiamo chiesto a Omar Flórez Vélez, l’ultimo sindaco di Medellin dell’era Escobar (1990-1992, quando ancora gli alcaldes della città rimanevano in carica solo per un paio d’anni, e scorta e attentati facevano tutti parte del pacchetto), come il fiore-Medellin, quello che il narcotraffico aveva rischiato di danneggiare per sempre, sia riuscito a rinascere dalle sue stesse ceneri.

«Lo scenario era estremamente incerto, la popolazione era terrorizzata dall’azione delle autobomba come quelle che oggi si vedono in Siria o Afghanistan. In quel momento, era la città più pericolosa del mondo. I media diffondevano quest’immagine a livello internazionale e il cartello aveva un atteggiamento di sfida costante verso le istituzioni», racconta l’ex sindaco, eletto negli anni successivi senatore della Repubblica e parlamentare.

«Il problema non era Pablo. Morto lui, appaiono altri Escobar, nonostante tutta la politica repressiva del mondo. Nella polizia è stato messo in atto un meccanismo importante di pagamento e ricompensa, nonchè di epurazione della forza pubblica corrotta. Parallelamente, sono stati avviati programmi di tipo sociale, nell’idea che i problemi sociali richiedono risposte sociali, non di polizia», prosegue Flórez Vélez, seduto al tavolo della sua villetta del Poblado una calda notte d’estate – che poi non vuol dire nulla, visto che a Medellin è estate tutto l’anno.

… continua a leggere sul sito di PangeaNews, su cui é stata pubblicata questa intervista in esclusiva.

Medellin, da Escobar alla dolce vita

Quasi vent’anni fa – era un caldo dicembre del 1993 – moriva il più famoso narcotrafficante del mondo, Pablo Escobar. Moriva fuggitivo, leggenda, sui tetti della sua città, Medellín, allora considerata la più pericolosa del mondo, la capitale della droga. Oggi, come recita un noto spot turistico colombiano, a Medellín l’unico rischio è quello di voler rimanere per sempre tra le sue verdi montagne, immerse in una eterna primavera tenacemente ritrovata.

SPLENDIDA, DINAMICA FENICE. Il fiore che il narcotraffico aveva rischiato di danneggiare per sempre è rinato dalle sue stesse ceneri. Non poteva che essere altrimenti: il destino di Medellín sembra essere da sempre quello della bellezza. Immaginatevi una città incastonata fra le montagne, alla giusta altezza sul livello del mare per essere fresca e al contempo accarezzata dal caldo sole d’altura; temperatura media di venticinque gradi, quella giusta, tutto l’anno, niente stagioni; una vegetazione rigogliosa, baciata dai colibrì e benedetta dalla frutta tropicale più buona; gente calda, amabile, bianca, nera o mulatta ma comunque bellissima (questa perfezione geotermica ha prodotto uomini affascinanti e donne floride); piatti tipici ricchi e abbondanti, dove l’avocado e il platano si mescolano concordi con carne e riso come le diverse razze umane fra le caotiche strade del centro.

CENT’ANNI DI SOLITUDINE. Tutto questo è Medellín, seconda città della Colombia con i suoi tre milioni di abitanti, epicentro commerciale, industriale ed edonistico del paese, leader della manifattura, del tessile e della moda. Una metropoli consapevole di sé stessa, che ha scalzato la capitale-rivale Bogotà nell’indice globale di competitività del paese (fonte: Observatorio Economico del Caribe) e in cui, secondo dati pubblicati sul quotidiano El Tiempo, il 70% degli abitanti crede si possa crescere ancora nei prossimi quattro anni. Alla faccia della crisi mondiale. Si dice da queste parti che il Nobel colombiano Gabriel García Marquez, allora reporter d’assalto del quotidiano medellinense El Espectador, abbia tratto l’ispirazione per la sua più geniale creatura, l’immobile pueblo dell’eterno ritorno di Cent’anni di solitudine, da uno dei bellissimi paesini coloniali del departamento di Antioquia, di cui Medellin è capitale. Vere e proprie nature morte a pianta regolare, chiesa e piazzetta antistante, immerse tra verdi colline, laghi e piantagioni di caffè.

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