Mentre l’attenzione del mondo è puntata nuovamente sul sottosuolo sudamericano – un altro gruppo di minatori è bloccato, questa volta in Peru, a diversi metri di profondità (“ancora una volta è lotta contro il tempo” e clichè simili…) – in superficie fervono i preparativi per l’arrivo dei presidenti al VI Summit delle Americhe, dove si discuterà fra gli altri della legalizzazione del traffico di cocaina.
Per volontà del presidente guatemalteco Otto Pérez Molina, infatti, uno dei capisaldi dell’agenda al meeting panamericano sarà la legalizzazione del traffico di stupefacenti.
Il punto di Molina e degli altri capi di stato che lo appoggiano (l’ospite Colombia, Costa Rica, Messico, Panama e Argentina fra i tanti) è chiaro: mettere l’amministrazione americana di fronte al fallimento di decenni di politiche proibizionistiche e repressive.
“Mentre l’America Latina ci mette i suoi morti, gli Stati Uniti impongono le loro strategie,” ha dichiarato Molina alla stampa.
Qualche dato, per gradire.
Proprio il Guatemala è diventato negli anni uno dei più importanti stati-ponte per il commercio internazionale degli stupefacenti. Solo nel 2010, furono 6000 i morti ammazzati nella guerra della droga. Il 42% dei crimini commessi nel paese, uno fra i più pericolosi al mondo, avviene per qualche chilo (o tonnellata) di sostanze stupefacenti.
Un po’ più in là, in Messico, dal 2006, i morti nella guerra al narcotraffico sono stati 50.000 – fino alla scoperta della prossima fossa comune.
L’amministrazione Obama ha però tagliato la somma destinata ai paesi latinoamericani per la lotta ai cartelli della droga: da 568 milioni di dollari per il 2012 a 476,4 milioni per il 2013. Manco a dirlo, è stato proprio il Messico a subire i tagli più consistenti.
Negli Stati Uniti, il 25% delle persone sopra i 12 anni consuma stupefacenti. Il traffico della cocaina, del valore stimato di circa 80.000 miliardi di dollari annui, passa principalmente da qui.
Le armi, invece, fanno il tragitto opposto.
La National Rifle Association, l’organizzazione statunitense che difende il tanto vituperato porto d’armi facile (come sancito dal Secondo Emendamento) e che conta 4.3 milioni di membri, non si dedica al traffico di droga. Eppure ha un’enorme responsabilità per la violenza che sta dilagando in America centrale per via della sua azione lobbystica atta a vanificare qualsiasi sforzo per limitare la vendita di armi d’assalto.
“Durante il mio governo, abbiamo confiscato qualcosa come 140.000 armi in quattro anni,” ha detto il presidente messicano Calderón, “e la immensa maggioranza di queste erano armi d’assalto.” Guarda caso, la violenza in Messico è cresciuta dal 2004, anno a partire dal quale è possibile acquistare un Ak-47 o un Uzi in qualsiasi negozio d’armi statunitense.
Ma quello delle armi è un problema trans-nazionale, non riguarda solo Messico e Stati Uniti.
I cartelli della droga si parlano infatti anche oltre confine, si fondono, si addestrano e si scambiano fucili e proiettili, come dimostra il caso dell’alleanza fra due dei più sanguinosi gruppi criminali latinoamericani, i messicani Zetas e le Maras salvadoregne, celebri per la loro efferatezza e per i loro estesi tatuaggi.
Tornando al nostro VI Cumbre de las Americas (come è chiamato in spagnolo), l’anfitrione colombiano Juan Manuel Santos userà i suoi privilegi come ospite per imporre a Barack Obama una discussione costruttiva sulla proposta guatemalteca.
Michael Hammer, portavoce del dipartimento di stato USA, ha tuttavia già detto che di legalizzare il traffico di droga non se ne parla proprio. Mauricio Funes, presidente di El Salvador, e Ortega, suo omologo in Nicaragua, hanno preferito allinearsi, complici anche pressioni interne delle gerarchie ecclesiastiche, spaventate dal tentativo demoniaco di “legalizzare il crimine.”
Mentre già le delegazioni di giovani-indigeni-imprenditori sono già al lavoro a Cartagena, Colombia, il grande show down avverrà con le riunioni fra i capi di stato previste per il 14 e 15 Aprile.
La strategia sudamericana sarà semplice, di quattro punti. Il primo contemplerà ovviamente un maggiore impegno nella lotta al traffico criminale di sostanze stupefacenti. Il secondo prevede la creazione di una corte di giustizia regionale con giurisdizione trans-regionale: una struttura flessibile ed efficace per punire tutti coloro invischiati nel business milionario dei narcotici.
Le ultime due linee di discussione sono invece le due più grosse scommesse su cui si gioca tutta la partita.
Una prevede la decriminalizzazione del flusso di stupefacenti attraverso la creazione di un corridoio di passaggio in cui le sostanze possano essere tracciate più facilmente; l’altra prevede la creazione di forme di compensazione sostanziale per quegli stati latinoamericani effettivamente impegnati nella lotta alla droga. Per farla semplice, si tratterebbe di un riconoscimento pecuniario per ogni sequestro o per ogni arresto effettuato.
Non si può tuttavia prescindere dall’accordo con gli Stati Uniti, soprattutto per quanto riguarda gli ultimi due punti.
La VI Cumbre de Las Americas sarà il banco di prova per verificare quanto i paesi del Latino America sapranno fare fronte comune contro l’ex voce forte di casa America, finora sorda ai gridi di sangue provenienti dal proprio ‘giardino sul retro’.