… “una volta accolto in noi, il male non chiede più che gli si creda”
(Aforismi di Zürau, a cura di Roberto Calasso, Adelphi, Milano 2004, aforisma n. 28)
Complimenti vivissimi a Floris per aver ridato dignità alla categoria del giornalista.
… “una volta accolto in noi, il male non chiede più che gli si creda”
(Aforismi di Zürau, a cura di Roberto Calasso, Adelphi, Milano 2004, aforisma n. 28)
Complimenti vivissimi a Floris per aver ridato dignità alla categoria del giornalista.
Ho un problema.
Ogni qual volta lavo i piatti, la tubatura sotto il lavello della cucina gocciola. Lo so, un po’ di scotch, tenaglie e pazienza e potrei stringerla, interrompendo il gocciolio molesto una volta per tutte.
Ma ho optato per la soluzione comoda e borghese, quella dell’idraulico, ed ormai sono in guerra con questa nazione. Ed è una guerra che intendo vincere.
Sono ormai quattro settimane che lo aspetto, l’idraulico, come Robinson Crusoe sull’isola deserta, maledetto Godot. Casa mia deve essere stata costruita su un cimitero indiano, o deve trovarsi in una sorta di limbo spazio-temporale, se ottenere che venga qualcuno a guardarti il lavandino della cucina è impresa tanto ardua.
Due settimane di petting via email con l’agenzia che ci affitta la casa. All’inizio erano solo fiordalisi, e tante leccate cordiali, del tipo “ringrazio anticipatamente per la vostra squisita gentilezza“.
Poi siamo passati ad un più frustrato e contenuto “con la certezza di ricevere presto una vostra risposta…“. Infine, la minaccia di contattare un superiore, la-vostra-mancanza-di-professionalità kind of thing, e riesco a strappare all’agenzia il numero di telefono di British Gas.
British Gas è una sorta di multinazionale domestica della riparazione, occupandosi di tutto, dalle lampadine alla fuga di gas, fino all’innocua perdita sotto il lavandino.
Chiamo, pertanto. Mi risponde un operatore e fissiamo un appuntamento per mercoledì mattina. L’idraulico può venire solo dalle 8 alle 6 del pomeriggio, che guarda caso corrisponde proprio alla fascia oraria lavorativa, quella in cui le persone normale sono fuori di casa, non ci sono, non possono aprire a nessun idraulico.
Ma tant’è, mi dico. Mi prendo una mattinata e lavoro da casa, in pigiama, sprofondato sul divano con gli occhi ancora cisposi di sonno. Sarà divertente.
Aspetto.
E’ mercoledì mattina, ore dieci, sono sveglio da due ore e l’idraulico deve ancora arrivare. Una chiamata al cellulare. Due. Richiamo ma nessuno risponde.
Sono le undici. Le dodici.
L’una, e sticazzi, ‘mo devo andare al lavoro.
Chiamo British Gas, indiavolato e frustrato come la più inviperita delle casalinghe disperate che ha appena scoperto che suo marito ha un affair con la maestra di matematica.
Mi dicono che l’idraulico è effettivamente venuto, mi ha chiamato al cellulare, non ho risposto e se ne è andato. Io, incredulo, rispondo che ho provato a richiamare, ma l’idraulico non mi ha filato.
Poi, l’illuminazione.
Il citofono.
Chiedo se l’idraulico ha suonato il citofono. “He must have forgotten,” mi sento rispondere. Deve essersene dimenticato. Ora, io mi immagino questo povero cristo che lascia il talamo ancora caldo e fragrante della moglie, affronta il traffico londinese delle sette del mattino; si rovescia addosso un caffè take-away cercando di seguire il navigatore per trovare casa mia; finalmente arriva, madido di sudore e bestemmie…. e… e si dimentica di suonare il citofono.
Nessun problema, dico, può capitare. A tutti. Chiedo che almeno la prossima volta Super Mario possa comparire di mattina presto, il più presto possibile.
Dopo aver preso appuntamento per la settimana dopo, mi sento chiedere dalla centralinista “How would you rate our service today?“. Mi contengo, e rispondo “shitty.” Lei, felice, mi ringrazia e appende.
Una settimana passa veloce, mi ripeto. Ogni qual volta lavo i piatti, sento il gocciolio della tubatura che mi perfora l’ulcera. Posso distinguere il suono penetrante e acido della piccola goccia che scava il tessuto. Imperterrita, metodica.
Arriva lunedì, oggi, ma sono le 8,30 e devo scappare di casa e avviarmi al lavoro. Pare oggi ci sia il grande capo in giro, meglio essere puntuali.
Mentre sono nella galleria più rumorosa della città mi chiama finalmente l’idraulico. E’ lì davanti casa, e i miei due coinquilini sono in casa.
E’ fatta, mi dico. Gli ricordo di suonare il citofono, e sorridente continuo a pedalare verso il sole. Ho chiamato il mio coinquilino, e l’ho avvertito che l’idraulico era lì fuori, impaziente di entrare e fare il suo dovere.
E’ fatta. Per forza.
Non è così. Mezz’ora dopo, la tragedia.
Mi richiama l’idraulico. Non riesce a trovare parcheggio (e dice che non può lasciare la macchina con le 4 frecce in una stradina residenziale sconosciuta ai vigili. Stolto. Avesse vissuto un giorno, un giorno solo a Roma).
Cazzo.
Mi richiama a scoppio anche il centralinista di British Gas, ancora più allarmato. Dico a entrambi che non posso fare nulla, sono al lavoro, una macchina non ce l’ho e tanto meno un pass per il parcheggio, pertanto l’idraulico dovrà arrangiarsi da solo.
Silenzio.
Richiamo l’idraulico. Silenzio, di nuovo.
Non ce l’ha fatta. Temo non ce l’abbia fatta.
Il mio coinquilino mi scrive che ormai è andato al lavoro. Quell’altro pure.
Sono in ufficio, che guardo l’intonaco, ancora attonito, e penso che questi avevano un impero coloniale. Sono riusciti a conquistare un dannatissimo impero coloniale.
Continuo a fissare il bianco della parete, con sguardo vitreo. Non mollo.
Paperone de’ Paperoni
Paperone de’ Paperoni, in latino Paparonus de Paparonis (Correttamente tradotto in Paparone de Paparoni) (Roma, … – Spoleto,1290), è stato un vescovo cattolico italiano, appartenente all’ordine dei domenicani. Qui sotto, Repubblica pare confermare.
Il giornalismo ‘in tempo reale’ evolve ad una velocità impressionante, e ciò che qualche mese fa era considerato il futuro, oggi è solo il punto di partenza dell’ennesima innovazione.
Qualche anno fa il termine blogging era sulla cresta dell’onda, cavalcato dall’Huffington Post. Poi venne la terribile ‘diretta Twitter’, e l’idea che mettere in pagina un widget (operazione peraltro replicabile da qualsiasi blogger di paese) ci rendesse tutti automaticamente più social, quindi più moderni, quindi più belli.
Qualche mese fa, quasi in contemporanea con lo sbarco in Italia della visionaria creatura di Arianna Huffington, il termine più in voga sembrava infine essere quello di live blogging.
Un’evoluzione della specie. La cosiddetta ‘diretta news’: aggiornamenti in tempo reale, compresenza dei vari social media, tono informale, commenti mail e foto dei lettori, possibilità di bloggare tutti insieme, in tempo reale, chi dalla strada, chi dal treno, chi dalla redazione.
L’ultimo show Berlusconi-Santoro è stato a suo modo la consacrazione del live blogging: la serata è stata seguita – con diverse strategie editoriali – da tre pesi massimi del giornalismo di carta italiano(escludendo dal computo quei giornali dalla colorazione rosa o tendente al rosa).
Una riedizione di quella che oltralpe chiamano second-screen experience, e che si basa su un concetto molto semplice: far avvenire la discussione sul proprio sito, non più sui social media, e monetizzare lo sforzo redazionale che verrebbe prodotto in ogni caso. Riportare a casa il traffico, quindi, per vincere la grande sfida della sopravvivenza.
Ebbene, neanche il tempo di abituarcisi, e già il modello live blogging apre altre porte verso nuovi orizzonti.
Il presente (perché parlare di ‘futuro’ rende la prospettiva quasi eterea, intangibile, mentre è già realtà, e può essere già sfruttata commercialmente) è la condivisione dei contenuti real-timefra le redazioni di tutto il mondo.
Vale a dire: il live blog diventa globale, e può essere condiviso fra una o più redazioni, in contemporanea, con conseguente caduta delle barriere spazio-temporali. Tutto ciò significapartnership editoriali e commerciali per le redazioni nostrane. Tutto ciò significa, in parole povere, più contenuti di qualità e più opportunità di monetizzarli, che è poi ciò di cui ogni editore che si rispetti va in cerca.
La settimana prossima Obama si insedierà alla Casa Bianca. L’ Associated Press metterà a disposizione il live blog dell’evento ai suoi vari media partner in giro per il mondo.
Tutto ciò è possibile grazie ad un modello chiamato syndication, implementato dalla piattaforma per la produzione di contenuti real-time, ScribbleLive (per la quale lavoro, prevenendo ogni domanda in merito: se scrivo queste righe è in definitiva perché credo profondamente nel modello proposto).
Continua a leggere in italiano o inglese sul sito dell’International Journalism Festival…
“Se lanciassero una bomba nucleare, si salverebbero solo gli scarafaggi. E Lemmy.”
C’è un fotografo di nome Pep Bonet che ha passato più di tre anni in tour con la folle band dei Motörhead, ne è uscito vivo ed ha pubblicato uno splendido book fotografico dal nome eloquente di Röadkill.
Se siete appassionati di fotografia, in particolare di quella che racconta di dettagli, sguardi, mozziconi spenti, sputi, gocce di sudore, stecche da biliardo e stivali consumati, allora questa la galleria che fa per voi (peraltro in Creative Commons, che il cielo benedica Pep Bonnet).
Se siete alla ricerca di idee per sviluppare uno stile proprio, allora a maggior ragione guardatevi le foto tutta carne ed energia di Röadkill. Vi invito anche a farvi un giro per i progetti audiovisuali, in particolare quello su Haiti, e a rimanere meravigliati.
Qui potete trovare l’intervista fatta da Radio Tres spagnola al fotografo catalano (scrollate a 1h 42min): “Il sogno era conoscere la band; il peggior incubo è stato seguirli.”
In esposizione a Madrid fino al 2 Febbraio.
Rapine, droga, vendetta e calcio: questa la realtà maledetta del Fuerte Apache, il quartiere di palazzoni in cui è cresciuto il campione del City e dove i suoi amici di infanzia oggi sgomitano tra crimine e povertà: «Questo posto ce l’ho nel sangue», ha detto l’argentino
Oggi, questi ragazzi sono per metà morti. Ammazzati, suicidi, perdenti alla roulette russa o lenti negli inseguimenti con la polizia e le bande rivali. Sei di loro sono in carcere. L’ultimo dei Backstreet Boys a lasciarci le penne, a inizio dicembre, è stato Germán Cancinos, 30 anni, soprannominato He-Man, come il celebre giocattolo della Mattel. Lì, al Nodo 1, viveva anche Cabañas, il migliore amico di Carlitos Tevez. Un altro che non ebbe la sua fortuna. «Sono molti quelli che raccontano che lui era anche migliore di Tevez», scrive Nahuel Gallotta, compilatore oscuro delle storie dei ragazzi che giocarono con ‘El Apache’.
«Era proprio bello quando giocava. Aveva una tecnica sopraffina. A metà di una partita usciva dal campo, andava a bere un the di mate o una galletta di riso e poi tornava. Quando festeggiava un gol, si andava a nascondere dietro agli striscioni, cosi all’arbitro toccava andare a cercarlo per riprendere il gioco. Quando invece l’allenatore gli dava indicazioni, lui rispondeva a insulti». Cabañas, “genio e sregolatezza”, non ebbe la fortuna del suo celebre amico. Non incontrò il mecenate, Norberto Propato, colui che andava a caccia di giovani talenti fra le strade di terra battuta delle villas miseria. Se lo incontrò, non fu altrettanto favorito dalla sorte.
Articolo pubblicato per l’agenzia stampa di Buenos Aires, PangeaNews. Continua a leggere qui.
Nel bel mezzo della brulla e aspra Sicilia, fra colline verdi come campi irlandesi, mandorli in fiori e severi panorami rocciosi, si erge dal nulla una rocca. Elegante.
Sul picco del monte, un santuario domina quello che la gente di qui chiama ‘lu vallone’: un crocevia di saliscendi dove, nei secoli, si sono scontrate e amalgamate le culture greca, romana, bizantina, normanna e musulmana.
Aggrappato sornione ai fianchi della rocca dalla tipica forma di panettone, quasi avvolgendo in un abbraccio la montagna, sta Sutera, l’unico paese siciliano bandiera arancione del Touring Club per l’autenticità dei suoi antichi quartieri.
Ogni anno, di questi tempi, la magnifica borgata araba del Rabato si veste a festa con il pastrano logoro e sgualcito tipico del mezzadro del vallone: è l’abito contadino, è l’abito del presepe vivente di Sutera.
Un museo della memoria a cielo aperto
Giunto ormai alla quindicesima edizione, il presepe vivente permette ai circa 15.000 visitatori annuali del paese (che conta appena 1.500 anime) di viaggiare nella memoria per rivivere gli odori, i sapori e la cultura contadina e pastorale del ‘900, quella dei nonni dalla faccia scavata dal tempo, eredi di un passato glorioso e decaduto.
Per due settimane l’anno, tra Natale e l’Epifania, tutta Sutera è impegnata nella messa in scena di uno dei più caratteristici presepi d’Italia, animato dalle voci dei pecorai (picurara), cantastorie, viddani, falignami, tissitrici e commercianti (putiari).
Un idillio bucolico, cristallizzatosi nel tempo a ogni crocicchio.
Partecipare al presepe vivente di Sutera vuol dire arrampicarsi fra i muri bianchi e scalcinati di un quartiere magico e fermarsi a degustare ricotta fresca o pani cunzatu (pane caldo, olio e sale) offerta dalle mani gentili degli anziani; indugiare fra delizie povere come la minestra di ceci o il maccu (piatto contadino a base di fave e verdure), fermandosi a conversare con i suteresi in costume tipico che ne spiegano preparazione e ritualità; sentirsi raccontare come, appena sessant’anni fa, le sedie si facevano ancora filando e intrecciando il lino a mano; le ceramiche rotte venivano riparate dal consapiatti col fil di ferro e l’argilla per fare le tegole del tetto si impastava e si cuoceva in casa.
Gli scoscesi pendii di Sutera in estate si trasformano in circuito per la consueta gara di ‘carrozzoni’, l’altro grande momento forte di comunione civica – se escludiamo le festività e le processioni religiose.
Continua a leggere e guardare la galleria fotografica delle mie foto sul sito di Oggiviaggi e prossimamente su Milocca – Milena Libera.
‘I hate how my hairdresser cuts my hair but I dare not go elsewhere for fear of hurting his feelings’
‘I got overcharged for breakfast this morning. I knew the cashier had got it wrong but didn’t want to embarrass him or look like a dick in front of the queue so just paid the extra £2’
‘I asked if anyone wanted the last biscuit. Someone did.’
‘I accidentally rang the bell on the bus at the wrong stop, and instead of explaining my predicament to the driver, got off and walked the rest of the way home.’
‘I said ‘thank you’ as a warden handed me a parking ticket.’
‘There’s no etiquette for using an umbrella in crowded areas during wet weather.’
‘I never know whether to say thanks to people that stop at a zebra crossing.’
‘I accidentally touched another commuter’s hand on the handrails on the tube today.’
‘My girlfriend claims to be ‘neither here nor there’ on Marmite. Now I can’t trust anything she says or does.’
Thanks @Kate. From: http://www.reddit.com/r/britishproblems