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Per chi volesse farsi un’idea del dibattito in corso sull’articolo da me pubblicato qualche giorno fa, rimando a questo interessantissimo pezzo sul blog collettivo Valigia Blu di Arianna Ciccone. Allora, furono le mie considerazioni a caldo.
Al di là di ogni sensazionalismo – di cui sono caduto vittima pure io.
Quel che resta, oltre l’opportunità di rischiare la vita per pochi spiccioli, oltre i pezzi di cervello in grembo e le canzoni dei Radiohead, è un mercato dei media che basa le sue tariffe non sulla qualità del contenuto offerto, ma su altri parametri che essa trascendono.
Ignorando tutto questo parlarsi addosso (“giornalisti plaudenti con il culo al caldo“, ne definisce alcuni Mantellini), restano i miei amici sparsi in Sud America e chissà dove, costretti al doppio lavoro perchè la qualità degli articoli proposti non è mai abbastanza per sopravvivere degnamente.
E allora cito Valentina Avon sul blog di Mantellini:
“Ma se una vittima denuncia un reato, che si fa, si passa il tempo a parlar di lei? O magari si fa anche qualche verifica sul reato? Ok, paragone azzardato e irriverente, ma è per rendere l’idea.
Al di là di motivazioni e argomenti, sicuramente discutibili, della freelance Borri, che gli editori, anche e soprattutto di rango, paghino un piatto di ceci resta un fatto. Che tu sia a Aleppo o a Trebaseleghe conta poco, come conta poco molto altro (quanto hai speso per fare il pezzo interessa a nessuno). Non è un reato, ma neanche una cosa bella.
Quando il discorso si sposta su questa china, parte il ritornello del libero mercato. E va ben. Ma libero mercato non vuol dire che tu paghi dei Cartier come fossero Swatch. Vuol dire che in giro ci saranno solo Swatch.
L’editore paga poco a prescindere dalla qualità del pezzo (a meno che di peso non sia la firma, in genere storica: trovatemi un freelance di rango che non sia stato anche, prima, un redattore di lungo corso. Del resto il mestiere si impara anche così, e questo apre la porta a un’altra valangata di questioni, ma per ora andiamo oltre). E questo, fra l’altro, causa non pochi problemi ai capiservizio, che non possono incentivare chi vorrebbero (e tu freelance che stai parlando col collega delle tue miserie finisci col sorbirti le sue, di lagne). Il potere contrattuale del freelance è pari a zero: immaginatevi un singolo, forte solo del proprio lavoro, che va a trattare con Marchionne (per restare alla Stampa).
A questo punto va spiegato anche, ai profani del desk, che non è che non ti pubblicano i pezzi in prima prima pagina (la questione non è: non mi fanno lavorare), è che quando lo fanno ti pagano quanto non basta neanche a coprirti le spese, e pure le tasse. Neanche uno Swatch, ti ci compri. La distanza fra la retribuzione di un assunto e di un freelance è siderale. E sorvoliamo su quelli che addirittura ti fregano le notizie per passarle a un loro redattore.
E qui arriviamo all’ultima fase. Quella in cui tu ti compri un giornale. Pagando. Per leggere in prima pagina un lavoro che lo stesso editore crede che non valga abbastanza da essere retribuito secondo quanto è costato in termini di lavoro e spese”
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Aggiornamento: grazie a Barbara Schiavulli e al suo intervento per ValigiaBlu. Non avrebbe potuto essere più chiara di così.