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Caltanissetta, dove tutto pesa meno (tranne che l’anima)

Caltanissetta, abitanti sessantamila, è la città della leggerezza. Tra i capoluoghi italiani per una strana combinazione geografica nel rapporto tra altimetria e distanza dall’equatore è quello in cui tutto pesa meno. Un grammo in meno ogni dieci chili. I costruttori di bilance lo sanno e tarano le macchine di conseguenza. Tuttavia la minore forza di gravità non influisce, almeno in apparenza, sulle attività normali della vita, né sull’umore dei nisseni. Il tasso di suicidi è più alto della media regionale, lo stipendio medio è più basso. (Enzo D’Antona, originario di Riesi e oggi direttore de Il Piccolo, nella postfazione al libro Piccola Atene di Salvatore Falzone)

Cosa intendiamo per cultura

Qualche definizione aiuta. Informazione uguale domanda più risposta; incertezza uguale domanda, ma senza avere la risposta; ignoranza è non avere neanche la domanda. Ecco, la cultura è ciò che fa passare dall’ignoranza all’incertezza; noi invece pensiamo sia il passaggio dall’incertezza all’informazione. Non è così. E’ quando finalmente sei in grado di porre le domande giuste che sei una persona acculturata.

Luciano Floridi, filosofo dell’Oxford Internet Institute intervistato da Fabio Chiusi sul numero del L’Espresso di domenica 26 febbraio.

Trieste e i triestini in una poesia di Guido Sambo

La lirica, composta dal poeta degli anni ’70 Guido Sambo, sdentato e squattrinato, è dedicata ad un amico oste scomparso. In essa vi si trovano: un immaginato viaggio in carrozza , la memoria di lontane giornate serene e dense, piccoli fatti e “ciacolar” di vecchi amici, osterie, bevute e ricordi, vini duri come le pietre del Carso e la nostalgia per un passato che non tornerà più. All’orizzonte, il futuro non promette nulla di buono.

Son vignù ciorte Berto.
Son vignù ciorte
co’ un brum de quei veci, de una volta:
el legno scricola in ogni rioda,
i farai, scassandose, i sbati
come coverci de pignata svoda.

El caval orbo, un poco zoto,
el sta in pie per scomessa.
Forsi, chi sa, xe quela stessa caroza
che te ga ‘compagnà in zimiterio.

Go pensado: ei sarà stufo
de star sempre la, drito, serio,
soto quel peso de tera e sassi.
Solo, senza bever, zito;
no’ xe vita quela.
Vado ciorlo, go dito, vado ciorlo.
Spero che i te lassi
vignir via co’ mi.
Un poco de vin
no’ te farà mal gnanca a ti.

Andaremo vizin, in t’una ostaria,
per sveiar un fià de ricordi,
per ciacolar de veci amizi,
de quei che i xe restai,
de quei, che come ti, xe andadi via.
Domande no’ te farò. No volaria,
za no’ ga scopo, saver
quel che savarò anca mi prima o dopo.

Bevaremo un bicer de boni amizi,
de quel che te piaseva tanto a ti.
Dopo se lassaremo cussì:
co’ un buonasera
e arrivederci, in qualche logo.

Son vignù ciorte, Berto. No’ ‘andaremo lontan.
A ti te piaseva quel Teran
che i fa a Sepulie
Pronto, de istà, in cantina,
un poco aspreto e duro, mi diria,
come quel Carso, quei sassi,
e quela tera rossa de dolina
Dove che ‘l nassi.
Co te lo bevi, el sbrissa,
el te da una caloria
che se spandi drento de le vene
la impiza el sangue
dismissiando un’alegria
che fa tutto dismentigar.

Che bevude in quei tempi passai.
Che sane bevude a Tomai, a Sesana,
in tuti quei loghi che te ben conossi.
Bevude e cantade con anda nostrana
co’ i piè stanchi dei grambani
e dela strada
e co’ la gola seca, stuzigada,
del vento e de l’odor de pini.

Ogi i òmini
chè Dio ‘ste robe no fa,
i ga messo confini,
stanghe, fil spinà,
che casa nostra par fora man
E te xe a San Canzian
Indò che Dante
se ga ispirà l’inferno
dove che ‘l Timavo
l’intona, cascando,
la sua grande sinfonia.

E là, vizin, ze nata un’ostaria
de quele che solo in Carso nassi,
col fogoler come una piaza,
sempre impizado,
un’ostaria che par scavada
fora dei sassi,
de la rocia viva.
E chi che là ‘riva,
trova polastri rosti,
levro in salmì
come i sa far
solo in ‘sti posti,
co’ zerti gnocheti
teneri e sgionfi
che i se squaia in boca.

De domenica iera tute nostre
‘ste contrade.
La vita iera bela,
co’ le su’ picole robe,
con do soldi in scarsela
e co’ le longhe caminade.

Co’ noi iera sempre qualche putela
e tanti anni de meno.
Chi diria? Ierimo contenti
de consumarse i pie per i grembani,
de sbregarse i vestiti i graia.
Andavimo cantando per la strada
alegri come fussimo in ‘na fràia.

Adesso la gente par cambiada
Nel vin no i trova gnente
no i ga ‘l gusto de la caminada.
Chi canta più i cori de ostaria?
Chi li conossi più de, questa gente?
I par fioi de la musoneria,
i par tuti in luto.
I meo, come ti, i xe morti
e par che sia morto tuto.

E mi qua, solo, in zimitero
che parlo come se fussi vero
che parlo con ti.

Son vignù ciorte, Berto…

Ma speta un momento:
ghe go pensado sora:
lassemo star.
Te sta ‘ssai meo ti soto
che mi de fora

Guido Sambo
(da Un poco fora man, Società Artistico Letteraria, 1967)

Riflessione a caldo dopo il referendum costituzionale

(Scritto il mattino dopo il voto, sorseggiando caffè e constatando l’abbrutirsi del discorso politico su Facebook)

Ora, se invece di assumere un atteggiamento grillino da “noi” contro di “loro”, non-avete-capito-guardate-cosa-avete-fatto, stigmatizzando il voto avverso nella maniera più comoda e acritica possibile – ovvero brandendo lo spauracchio della dannatissima trinità Grillo-Salvini-Berlusconi – se invece di far questo, dicevo, si cercasse di capire e rispettare le ragioni per le quali milioni di elettori di sinistra hanno detto No, forse si contribuirebbe alla costruzione di un discorso critico che eviti quel genere di polarizzazione buoni contro cattivi che è poi il brodo di coltura perfetto per il proliferare di estremismi d’ogni sorta.

Se un voto propone una scelta Sì o No, ciascuno dei due fronti avrà degli elementi improponibili – di qua Briatore, Alfano e Ferrara, di lì i tre precedentemente citati. Lapalissiano. Mi aspetterei uno scarto di ragionamento in più.

Era un voto tecnico sul merito della riforma? Evidentemente questa riforma non è stata ritenuta tecnicamente adeguata a risolvere l’impasse in cui è versa questo Paese. Perché? Per i contenuti oppure perché il velo di retorica che vi si è depositato sopra ne ha impedito la lettura e la comprensione anche alla ben nota “casalinga di Voghera”? Nel primo caso, nulla da eccepire: il No è legittimo. Nel secondo, bisogna allora biasimare chi ha voluto trasformare un voto sulla Carta in un’elezione politica, da sommersi contro salvati.

Spostandosi sul piano politico, allora, ci sono almeno due considerazioni. Da una parte Renzi correva da solo, e come tale mai avrebbe potuto vincere in un’elezione politica. Perché ha corso da solo? Perché si è bruciato ogni ponte con i suoi ex alleati. Così non si vince. Mai.

D’altro canto, se voto politico doveva essere, allora gli italiani sono stati chiamati a giudicare l’operato del suo governo. Né più né meno. Attenzione: non l’operato di un eventuale e temuto governo futuro, che porterebbe all’espressione di un voto di paura e completamente acritico (“Renzi non mi ha convinto ma piuttosto che votare il fronte che temo, allora mi turo il naso e mi accontento”), ma l’operato di quello attuale. Giudicato evidentemente inadeguato rispetto alle promesse di partenza da milioni di elettori di sinistra. Tutto il resto è delusione e rabbia, che pure io ho provato ieri quando le circostanze in cui è maturato questo No mi hanno portato a dover mettere una X molto sofferta e a dover assistere, in diretta TV, all’ennesimo fallimento politico della mia amata sinistra.

Ebbene, l’unico modo per superare delusione e rabbia è dialogare, capire, migliorare. Lo stigma rievoca e allo stesso tempo anticipa tempi bui.

L’importanza di dare del lei agli stranieri

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Foto: Giorgio Minguzzi, Flickr (riutilizzo consentito)
Foto: Giorgio Minguzzi, Flickr (riutilizzo consentito)

Qualche tempo fa ero in una trattoria romana senza pretese con due miei colleghi. Uno di loro è un giornalista di lungo corso, oltre che gran galantuomo. Al momento di richiamare l’attenzione del cameriere, più giovane d’età di almeno trent’anni, gli si rivolge comunque dandogli del “lei” e mi rimprovera amichevolmente se poc’anzi, nel chiedergli una forchetta, avevo usato il più colloquiale “tu”.

Ebbene, di quello scambio mi ha colpito l’enorme quantità di rispetto contenuto in quel “lei”. Rispetto verso la persona ma anche verso il lavoro svolto dal cameriere. La mia abitudine all’utilizzo della persona linguistica più informale – ho pensato – forse mi ha fatto dare per scontato che, così facendo, nell’abbattere momentaneamente ogni gerarchia ribadivo in realtà, con forza, una sua implicita esistenza, seppur precedente.

Così facendo, ovvero dandogli del “tu”, non stavo forse accordando al cameriere (senza che lui me l’avesse chiesto) di poter dialogare al mio stesso livello sociale (implicitamente più elevato), senza concedergli la dignità del “lei”, che si sarebbe meritato sia in quanto persona a me sconosciuta, sia in quanto persona impegnata nell’impeccabile adempimento dei suoi uffici lavorativi?

Di fronte al “lei” del mio collega, ma soprattutto di fronte al mio automatico “tu”, ho temuto che l’abitudine linguistica avesse potuto generare, questa volta come chissà quante altre in passato, un piccolo torto nei confronti di una persona che si sarebbe meritata la stessa persona linguistica solitamente riservata ad individui cui attribuisco una certa deferenza – data per esempio da una maggiore età o prestigio sociale.

Quindi ho pensato: e se iniziassi a dare del “lei” anche a tutti quegli stranieri a cui solitamente do del “tu”, non sarebbe questa, forse, una giusta ecologia del linguaggio? Scienziati nei loro paesi d’origine, magari, costretti a vendere hashish per sopravvivere, come mi è capitato di conoscerne.

Quanto è difficile quel piccolo sforzo per garantire a tutti lo stesso credito e lo stesso livello di rispetto. A priori,  finché l’interlocutore ammetta di non badare a simili formalità oppure si dimostri non meritorio di questa cortesia.

Così facendo, non sarebbe forse il (mio) mondo un po’ migliore? Forse no, ma di sicuro lo sarebbe quello della persona a cui mi sto rivolgendo.

(grazie Gianluca per il video)

Una foto al giorno, su Tumblr, per capire Trieste

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Mi sono trasferito a Trieste dove per un po’ lavorerò al Piccolo, quotidiano che vanta 4.5 volte la mia età (30).  Su Tumblr, ogni giorno, racconterò questa città per me nuova – se escludiamo una frettolosa due giorni in gita con il Liceo, quando avevo 18 anni. Una foto al dì, questo il progetto semplice ma ambizioso (in termini di costanza e disciplina). Torno un po’ a scrivere in inglese per riprendere la mano. Vediamo che ne viene fuori, e come questa città di confine si scopre, giorno dopo giorno, dinnanzi agli occhi di un curioso avido di storie.

I numeri del #Movember italiano

Come ogni anno è finalmente terminato quel mese in cui mi espongo al pubblico ludibrio per soldi. Come sapete, tradizione vuole che mi metta alla berlina per tutto novembre per raccogliere donazioni destinate alla ricerca contro il cancro alla prostata.

** Ecco di cosa si tratta, se vi siete persi qualche puntata ** 

movember lillo montalto monella

Quello a sinistra che sembra Pablo Escobar ha raccolto 280£, quello a destra che sembra Borat 250£. 

TIRIAMO LE SOMME
Da solo ho raccolto 356€, al cambio attuale. Ovvero 356 volte in più di quanto avrei raccolto nel mio normale regime di beneficenza. Dico al cambio attuale in quanto chi ha donato, lo ha fatto in sterline. Sono infatti iscritto a Movember con un profilo inglese fin da quando vivevo a Londra.

In Italia è una tendenza che non ha ancora preso piede. Mettersi in gioco per una buona causa, intendo.
Ironia a parte, l’iniziativa ha più seguito tra gli italiani espatriati, come i due nella foto qui di sopra (o ex espatriati, nel mio cas0), che in quelli in patria. Qualcosa però si muove.

Secondo Mikey Rothwell dell’ufficio stampa di Movember Foundation quest’anno più di duemila italiani (2017, per la precisione) si sono iscritti alla maratona baffuta di un mese sul portale italiano. Un numero in leggero calo – ma stabile – rispetto ai 2096 dello scorso anno. Non c’è modo purtroppo di monitorare l’attività di chi, come me, è italiano ma si è iscritto sul portale inglese/australiano/americano in quanto ivi residente. Questo naturalmente falsa un po’ la statistica, in quanto al momento dell’iscrizione viene chiesto l’indirizzo, e naturalmente è logico fornire quello dell’abitazione in cui al momento si risiede.

Gli italiani baffuti hanno raccolto $23,080.90 (pari a 21.728€): poco più di 10€ a testa. Se facciamo una media ideale tra chi non ha raccolto nulla e chi ha invece tirato su di più, magari  contando su amici che sono stati all’estero e hanno avuto a che fare con la cultura del sacrificio-per-beneficenza tipica del mondo anglosassone, il risultato indica che c’è ancora tanta strada da fare in Italia affinchè questa tradizione prenda piede. 

Congratulazioni in ogni modo  ai MoBro che anche quest’anno non si sono tirati indietro, e grazie a tutti i loro amici e parenti che li hanno sostenuti in questo lungo, lunghissimo mese.

 

Una vita da Montalto

Grazie per questo capolavoro (tutto da ascoltare, qui sotto). Grazie per farmi tornare il sorriso quando torno a casa, sfatto.