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Addio ai leggendari scaricatori del pesce

La Corporazione della City di Londra revoca le licenze agli scaricatori dello storico mercato del pesce di Billingsgate dopo 135 anni. Il Labour Party si spacca, fra riformisti e coloro che difendono la tradizione della “working class” britannica.

ARTICOLO: Gianluca Mezzofiore, giornalista freelance da Londra, collabora con l’International Press Institute, Frontline Club e l’agenzia italiana RedattoreSociale

FOTO: Lillo Montalto Monella

 

 

Costantinos Camilleri lavora al mercato del pesce di Billingsgate, Londra, da 52 anni. Mezzo italiano e mezzo greco, mostra con orgoglio una medaglia ammaccata sulla sua uniforme bianca. Recita la sua storica professione – scaricatore – e il suo numero di licenza.

Come gli altri scaricatori del mercato, circa 100, Costantinos è ai ferri corti con la Corporazione della City di Londra che ha deciso di revocare le loro licenze di lavoro. “Sono degli avidi bastardi”, dice indicando con un ampio movimento delle braccia il grattacielo della banca HSBC che incombe minaccioso sul mercato. “Guarda, banche ovunque. Ecco di cosa si tratta.


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People’s Kitchen, anche così si salva il pianeta

 

Metà degli alimenti prodotti oggi vengono scartati durante la filiera produttiva e non arrivano neppure al banco vendita. Lo dimostra uno studio condotto dallo United Nation’s Environment Programme (UNEP). Degli alimenti superstiti, poi, circa un terzo finisce nel cestino a pochi giorni dall’acquisto.

A Londra si è scelto di combattere la macchina dello spreco tornando alle origini. Più precisamente, al rituale del banchetto medievale, quando le comunità si riunivano per condividere cibo, idee e divertimenti in maniera teatrale e festosa.

“Non diamo da mangiare ai senzatetto: vogliamo piuttosto nutrire la comunità, il Paese intero”, mi spiega con una punta di orgoglio Stephen Wilson, fondatore venticinquenne della People’s Kitchen di Hackney, Londra.

Quello che si fa alla “cucina del popolo” è in realtà molto semplice: banchettare in comunità con quegli alimenti che verrebbero altrimenti gettati nell’immondizia. Proprio come i contadini della gelida Europa medievale, che spigolavano dai campi dei padroni alla ricerca di cibo ancora commestibile, i pochi volontari dell’associazione spendono la loro domenica mattina a raccogliere cibo ancora in buone condizioni dai commercianti del quartiere.

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I quotidiani italiani: l’insostenibile immobilità dell’essere

Continua l’odissea del giovane reporter all’estero. Questa volta, cosa più unica che rara, il malcapitato ha una storia da raccontare, e pensa di raccontarla proprio all’Italia.

Lo immaginiamo svegliarsi presto, mettersi delle scarpe comode (“quel giornalismo fatto di sudore e sacrificio, quando internet non era ancora stata concepita e le notizie te le dovevi andare a prendere, consumando le suole delle scarpe“), sorseggiare un po’ di caffè per darsi la carica e partire, armato di macchina fotografica, taccuino e buone intenzioni. Si reca quindi sul luogo, parla con la gente e, mentre la gente parla, lui intanto dà mentalmente forma all’articolo, spostando parole qua e là, raggruppandole in immaginari paragrafi, aggiungendo punti e virgole come pennelate d’artista.

Finalmente torna a casa, scrive il pezzo di getto e, soddisfatto del suo lavoro, alza la cornetta. Per essere precisi, clicca sul pulsante verde di Skype che i tempi, ahimè, ci hanno dato in dono la possibilità d’essere un po’ meno romantici.

La storia, dicevamo, qui nel Regno Unito ha rilevanza nazionale. Dopo 700 anni, una corporazione di artigiani rischia la scomparsa; il Labour party inglese si spacca e i principali media nazionali rilanciano gli appelli dei lavoratori. Non scenderò in ulteriori dettagli per salvaguardare l’identità del giovane reporter, protagonista della nostra odissea.

Per farla breve, il nostro giornalista sa di avere un gran pezzo per le mani, pieno di calore umano e di interviste colorite.

Chi chiama? Repubblica e Il Corriere. I primi due quotidiani che chiunque chiamerebbe.

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Distanza di sicurezza

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ovvero le incredibili avventure dell’aspirante giornalista all’estero.

Diario di laboratorio del seguente esperimento professionale: può il giovane italiano, a cui i tempi hanno dato in sorte d’essere lanugine sulle terga del corpo sociale, improvvisarsi capello e auto-trapiantarsi altrove, magari dove batte il sole?  Quali, in definitiva, i rischi di rigetto?

Ispirandosi ad una tendenza recentemente in voga in Italia, ovvero quella di stilare prolississime ‘liste delle 10 cose per…‘, il nostro giovane emigrato (alias: la cavia dell’esperimento) capisce che non c’è modo migliore per cominciare un diario che quello di tirare le somme.

 

Dieci buoni motivi per cui il giornalismo è uno spasso, almeno qui in Gran Bretagna

– Per scrivere, e sentirsi dare del professionista, non è necessario un tesserino. Un mondo alla rovescia: pare la professionalità non venga dimenticata in tasca, in una piega del portafogli, ma sia necessario tirarla fuori spesso, nella pratica quotidiana.

– Cose che qui non succedono: faticare anni per ottenere il dannatissimo tesserino, essere sull’orlo dei trenta, avere una calvizie incipiente e la scomoda sensazione che il tempo scorra troppo velocemente… e sentirsi offrire un ottimo contratto da stagista a 400euro al mese per 40 ore settimanali. Tutto bene, finchè non scopri di essere assegnato all’inserto Cavallo Magazine. (true story)

– Non rischiare di ritrovarsi a calcolare il netto orario in proporzione al tempo dedicato all’attività giornalistica e scoprire che si aggira intorno ai 0,50 scintillanti centesimi di euro all’ora. Netti. (true story: è successo ad un amico che lavorava per un piccolo quotidiano romagnolo. Il calcolo si basava sulla retribuzione per articolo, intorno ai 5 euro, meno le spese per cibo e benzina)

– La figura del freelance smette di essere parte di un mondo di fiaba: esistono ragazzi, sì, giovani ragazzi, che sebbene non in possesso del tesserino, possono aspirare a vendere i loro articoli e, incresciosamente, vedere riconosciuto il proprio lavoro. Con somme superiori ai 50£ a pezzo.

– Andare a comprare un quotidiano al sabato o alla domenica richiede una grande dose di coraggio, tempo libero e due braccia altrettanto nerborute: un domenicale (prendiamo il Sunday Times) può arrivare a pesare qualche chilo. Colpa degli innumerevoli inserti offerti col giornale: dai viaggi al cibo, dalla cultura alla tecnologia passando per casa e finanza. Qualcuno dovrà pur riempire tutte queste pagine, fiduciosi nel fatto che tanto tempo dovrà ancora passare prima che inizi la vendita ‘a peso’. Il nostro giuovane giornalista smarrito può dormire sonni tranquilli.

– Avere 24 anni, svolgere un piccolo lavoro di ricerca per un quotidiano nazionale e sentirsi chiedere i propri dati bancari per il pagamento non ha prezzo. Non è il ragazzo ad essere grato al giornale per la vetrina fornita (aggratis, troppo spesso), ma il giornale ad essere grato al ragazzo per il contributo. Roba dell’altro mondo.

– Il quotidiano più venduto nel Regno Unito ha una tiratura di parecchie milioni di copie quotidiane. Il quotidiano più venduto da noi, quando non ha pagine rosa, ne conta solo qualche centinaia di migliaia. Chi riempirà tutte le pagine di Sua Maestà? Per la serie: a volte, anche le dimensioni contano.

– La consapevolezza che nel Regno Unito, a uno come Belpietro, non farebbero scrivere nemmeno i foglietti illustrativi dei medicinali.

– Provare a farsi accreditare per una conferenza stampa del Primo Ministro in seconda, Nick Clegg, è facile. Basta mandare una mail all’ufficio stampa. Chi prima arriva, meglio alloggia. Provate voi a farvi riservare un posto a Palazzo Grazioli se non siete parte della cricca. Agli eventi diurni, intendo.

– Sentirsi dire che “objectivity, neutrality, balance and clarity are notions used alongside those of accountability and professionalism” fa sempre il suo effetto. A volte ci scappa pure una lacrimuccia.

 

keep calm and carry on

Dieci buoni motivi per cui continuare a credere nel made in Italy

– La RAI è ancora capace di mandare in onda ottimi programmi di giornalismo come Report. Anche se poi si sente in dovere di mettere sull’altro piatto della stadera Giuliano Ferrara. A bilanciare.

Successi come il Festival del Giornalismo di Perugia, il Festival di Internazionale etc. fanno ben sperare nella buona salute del giornalismo nostrano. Che, nella migliore tradizione, dà il meglio di sè quando torna a ri-appropriarsi della strada, a contatto con l’uomo comune.

– Al Corriere tagliano le auto blu e De Bortoli predica lo svecchiamento della professione (“Non è più accettabile, anzi è preoccupante, il muro che è stato eretto nei confronti del coinvolgimento di giovani colleghi”). Finchè non lo dice un politico, io mi fido.

Ho conosciuto al pub un tale che sapeva chi fosse Oriana Fallaci, mentre non aveva ancora sentito parlare del bunga bunga. Dai, dai!

– Internet rimane la terra promessa, proprio come preannunciava Grillo dieci anni fa, quando sfasciava i computer ai suoi spettacoli. Siti internet come Linkiesta, Il Post, Giornalettismo, AgoraVox fanno ben sperare. Tuttavia, come dice Luca Sofri, lo “scandalo” è che le testate online troppo spesso non pagano. Proprio come quella di Luca Sofri. Che, al contrario, ‘sfrutta le collaborazioni con soddisfazione‘.

Abbiamo ancora il coraggio di copiare, e di farlo bene: da una costola del britannico Independent nasce Il Fatto Quotidiano. La filosofia è quella vincente: autofinanziamento, indipendenza editoriale, spirito ggiovane. Purtroppo, al Fatto hanno avuto la nefasta idea di prendere in prestito anche qualcos’altro, dal Regno Unito: il layout grafico. Dal Sun, tuttavia.

Tutte le cose vecchie prima o poi muoiono. Il nostro ordine dei giornalisti, di fascia memoria, risale al lontano 1925-8. Nel dopoguerra, è arrivata la versione 2.0. Recentemente, imperversano in Italia i cosiddetti rottamatori. Speriamo si guardino un po’ intorno.

– Chi parte, molto spesso, lo fa per tornare. C’è chi ancora crede nel giornalismo come missione sociale. “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava, morto ammazzato dalla mafia) L’ideale salverà il reale, ancora una volta. E Silvio si dimetterà sua sponte per lasciare spazio al nuovo che avanza.

I giovani non sono mai stati così informati. Merito di internet, di Mark Zuckenberg, dell’uccellino blu e chi più ne ha più ne metta. Le rivoluzioni avvengono, anche in Italia. Non ci resta che crederci.

…per quanto riguarda il decimo motivo (e non solo), beh, la palla passa a voi … che, al contrario mio, siete ancora ‘a distanza di sicurezza’…

(distanza di sicurezza è una rubrica in collaborazione con italiadallestero)

Quattro dubbi (e relative risposte) sui tagli inglesi all’Università

(conversazione con Paolo Perini per Fujiko International)

radio citta fujiko international

Ci spieghi in cosa consiste quel teaching budget che verrà tagliato del 40% e cosa cambierà in futuro, soprattutto per il Department of Education and Science?

E’ bene dare un po’ di background, prima di rispondere alla domanda. Dopo il voto di dicembre, in un giorno anch’esso segnato dalle proteste studentesche fuori da Westminster, le università inglesi avranno il potere di aumentare le tasse d’iscrizione dalle attuali 3,300 sterline annuali, o poco più, fino a £6,000; la cifra può salire fino a £9,000 in casi eccezionali. Come è prevedibile, l’eccezione tenderà a diventare regola.

La media si dovrebbe attestare intorno alle £7,500 annuali per un corso undergraduate. Questo, almeno, quanto spera il governo. Più avanti vedremo il perchè.

big society in piazza virginia fiume
Big Society in piazza - Photocredit: Virginia Fiume

La spending review ha tagliato il budget universitario da £7.1bn a £4.2bn (entro il 2014). I tagli previsti per il 2011-2012 sono intorno ai £680 milioni. L’aumento delle tasse è semplicemente spiegabile: il governo taglia i fondi, ma allo stesso tempo permette alle università di trovarne di nuovi in altre maniere.

Come? Dando alle università la possibilità di alzando la decima d’iscrizione.

Nei piani di Clegg e Cameron, gli studenti che desiderano ricevere una istruzione di primo livello riceveranno mutui a tasso agevolato facilitati dall’esecutivo, ripagabili a seconda degli introiti del future lavoro dello studente. I laureati inizieranno a ripagare i loro mutui a partire dal momento in cui inizieranno a guadagnare più di £21,000.

Il teaching budget, quello tagliato del 40%, è usato per sovvenzionare i corsi universitari. I corsi universitari, oltre a ricevere fondi dal teaching budget, si avvalgono di un addizionale ‘premio per studente’ che va dai £2,641 ai £14,494 per iscritto, a seconda dal corso. Stando a Steve Smith, vicecancelliere della Exeter University e presidente di Universities UK, “l’insegnamento verrà più colpito dai tagli rispetto alla ricerca”.

 

E’ probabile che arts and humanities siano i settori più colpiti dalla scure di Osborne. Si prevede che i tagli al teaching budgets colpiranno di più gli studenti di arts and social science, di modo da proteggere materie considerate “strategically important and vulnerable,” come quelle scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche, matematiche e linguistiche.

budget day proteste westminster tagli istruzione
Proteste 'colorite' fuori dal Parlamento in occasione del Budget Day - Photocredit: Gianluca Mezzofiore

Perché proprio la Gran Bretagna che ha sempre investito nell’istruzione e nella ricerca ora smentisce se stessa e applica la scure dei tagli anche a queste fondamentali istituzioni. Anche là i tagli sono accompagnati da una revisione del sistema scolastico come in Italia?

Stando al governo inglese, non è proprio così.

Cameron e Osborne sostengono che tasse universitarie più alte permetterano un aumento degli investimenti nel settore del 10% già dal 2014. Il modello però si basa sull’assunto che le università applichino una tassa media di 7,500 sterline annuali. Si sostiene che più ragazzi provenienti da famiglie disagiate potranno avere accesso all’istruzione superiore in quanto avranno meno da pagare al momento dell’iscrizione. Questo sarebbe reso possibile grazie ad un sistema di mutui ripagabili solo dal momento in cui il neolaureato trova lavoro e inizia a guadagnare più di £21,000 all’anno.

Il governo inoltre intende multare le università di £3,750 per ogni studente iscritto oltre il limite massimo consentito. Una misura atta a scoraggiare speculazioni da parte degli atenei, ovviamente.

Tutte queste misure sono state definite un ‘calcio nei denti’ dalla University and College Union. Non si tratta di una vera e propria riforma strutturale quanto di una modifica del sistema di finanziamento universitario – al ribasso, tuttavia, visto l’enorme deficit accumulato negli anni dai governi laburisti.

I tagli per quest’anno sono parte di un piano generale che prevede riduzioni per un totale di un miliardo di sterline. Il Department for Business, Innovation and Skills deve cercare di reperire fondi altrimenti, questo è ovvio.

Alcuni analisti e commentatori prevedono la fine degli studi tradizionali, qui nel Regno Unito. Il White Paper, il decreto messo per adesso in stand-by dal governo che dovrebbe portare ad una più strutturata riforma universitaria, potrebbe riproporre (nella sostanza, anche se non formalmente) la famigerata divisione fra università e politecnici professionalizzanti. La frattura a livello del tessuto sociale che ne consegue è facilmente intuibile.

Le vibranti e violente proteste degli studenti non si sono fatte attendere. Credi che questi tagli all’istruzione pubblica possano svantaggiare chi ha meno soldi e avvantaggiare chi ha redditi più elevati e che quindi può pagare per i propri figli un istruzione privata?

Come ho già detto, il governo sostiene una cosa, sindacati e associazioni di categoria un’altra. Qual è il problema, secondo Mike Baker della BBC? Semplice: l’aumento delle tuition fees finirà per pesare molto di più sulle spalle dei contribuenti, soprattutto se le università dovessero ritoccarle verso il massimale di £9,000. Come mai? Anche qui, la risposta è intuibile.

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Le immagini della protesta londinese del 26 Marzo

Centinaia di migliaia di giovani provenienti da tutto il Regno Unito hanno inondato la capitale lo scorso 26 Marzo per la più grande protesta di piazza dai tempi dell’invasione all’Iraq di Saddam Hussein, nel 2003. Feriti, manganellate e slogan, come era prevedibile. Si parla di quasi mezzo milione di persone.

Picture: Adam Chidell

No ai tagli all’università!

Tre giovani fotoreporter della City University of London, armati di telecamera, si sono recati sul posto e hanno iniziato a scattare, inquadrare, mirare, scattare di nuovo.  Dai loro obiettivi…ai nostri occhi.

Tramite il web, tramite Flick, ancora una volta.

Un articolo con i link alle loro pagine Flickr su Grey Side of News, il progetto di Online Journalism che porto avanti alla City University.